Il buio oltre il Lido
Si teme ciò che non si conosce, quell’altro da sé o dalle proprie convinzioni che confonde i sensi e le parole. Il buio sta oltre le nostre certezze, al di là di un limite finora mai valicato che, per quello che attiene alla nostra ricerca critica, è rappresentato dall’abbondante presenza di film Netflix, Amazon etc. all’interno di Venezia75.
Una scelta artistica e politica – quando mai le due cose sono scisse? – in aperta controtendenza rispetto ai cugini francesi di Cannes che di Netflix si erano fatti prima promotori nel 2017, quando i film selezionati erano Okja di Bong Joon-ho e The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach, per poi sacrificarlo bellamente sull’altare degli esercenti e (dicono loro) dell’abitudine, del rito della visione in sala. Al Lido è andata in scena un’altra storia, probabilmente fondativa di un nuovo modo di intendere tutto l’universo produttivo e promozionale dei film, dai circuiti festivalieri fino ai metodi e tempi di fruizione per il pubblico, con la presenza in contemporanea delle opere nelle sale e sulla piattaforma.
Netflix, il mostro che “vuole usare i grandi nomi per poi sabotare il cinema” (Francesco Boille su Internazionale.it, 11 settembre 2018), mette il cappello su due opere del palmarès principale, il Leone d’Oro per il Miglior Film con Roma di Alfonso Cuarón e quello per la Migliore Sceneggiatura con The Ballad of Buster Scruggs di Joel e Ethan Coen, ma è con un film non premiato, per di più italiano, che genera più scandalo. Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, ricostruzione puntuale degli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, dopo la première veneziana esce in sala, sulla piattaforma – e in molti luoghi autogestiti e, giustamente, bloccati – il 12 settembre, smuovendo le acque, già mediamente burrascose, dove navigano da anni gli esercenti. Il problema è pensare tutto questo come una sfida e non come un’occasione, convincersi senza appello che Netflix rubi spettatori al cinema e non possa, al contrario, essere strumento complementare se non addirittura utile soprattutto per chi, come il sottoscritto, vorrebbe avere il tempo di vedere ogni film due o tre volte nell’arco di pochi giorni, la prima in sala e le altre durante le insonni nottate casalinghe, per scriverne o solamente per il gusto di farlo, senza per questo confondere le due esperienze. I dati parlano chiaro: ad oggi Sulla mia pelle ha una media di spettatori per schermo altissima, di gran lunga superiore agli altri film italiani coevi (La profezia dell’armadillo su tutti). Mettete via il rosario, non è ancora tempo di gridare al miracolo e forse non lo sarà mai ma, se non altro, Venezia ha dimostrato di voler puntare su un’idea di cinema al cui centro ci sono le opere e gli autori inseriti in un contesto nuovo, globale che oggi tira in ballo Netflix ma che in futuro, se i numeri faranno davvero la differenza, dovrà confrontarsi soprattutto con Amazon.
Come per dare una spinta a chi, impietrito, temeva il buio oltre il Lido, la Mostra si è sporta, cercando di abituare gli occhi all’oscurità: fletto i muscoli e sono nel vuoto. Il resto lo scopriremo tra un anno.