La persona peggiore per davvero
È un anno d’oro per le ragazze norvegesi in crisi d’identità. Se Julie in The Worst Person In The World crea non pochi danni come conseguenza della sua confusione e visione ombelicale del mondo, la Signe di Sick of Myself (che, non a caso, ha gli stessi produttori di Worst Person) porta il narcisismo e il desiderio di essere al centro dell’attenzione a livelli che sconfinano nella sociopatia. Eppure – e forse è questa la parte che fa davvero rabbrividire – le sue azioni squilibrate non sembrano così inverosimili nella società distopico-capitalista di oggi.
La barista Signe (Kristine Kujath Thorp) e l’artista Thomas (Eirik Sæther) hanno una relazione tossica e iper-competitiva: le cose prendono una piega tanto inquietante quando Thomas diventa improvvisamente una superstar dell’arte contemporanea e, in preda a una invidia cieca, Signe compie gesti sempre più agghiaccianti per strappargli le luci della ribalta.
Dopo che la protagonista compra sul mercato nero una medicina russa bandita, che come controindicazione lascia le persone sfigurate, sembra esserci una sola direzione per il proseguio della storia. E invece il regista e sceneggiatore Kristoffer Borgli riesce a essere sorprendente, irriverente e, cosa non da poco, a tenere le redini del film fino all’atto finale. Sick of Myself è una commedia nera brillante ed equilibrata anche quando ritrae una manica di squilibrati. Ci si trova a ridere con loro, di loro, ma anche a sghignazzare nervosamente mentre sullo schermo si consumano momenti raccapriccianti. È un’osservazione, più che un commento, dell’ossessione contemporanea con l’unicità, la fama, la viralità. Ciò che rende irresistibile Sick of Myself è proprio che non cerca di giustificare né condannare i suoi deprecabili protagonisti: non c’è bisogno di giudizio morale quando le loro azioni dicono già tutto. È un pregio particolare riuscire a fare un film del genere che non si trasformi in una lezioncina sui mali della nostra società, o che trovi un modo di redarguire o correggere iprotagonisti.
Alla Julie di Joachim Trier viene fatto ben presente di essere orribile, e lei stessa si interroga sulle sue azioni e le loro conseguenze nefaste; Signe non solo è circondata da persone assorbite da sé stesse quanto lei ma, nel suo essere borderline e sociopatica, “sa” intrinsecamente di avere ragione e non si fa mai domande al riguardo.
Nei 97 minuti di durata, Sick of Myself è un film compatto e cristallino nel suo intento, le cui uniche divagazioni sono i megalomani sogni a occhi aperti di Signe. Kristoffer Borgli non perde una sola occasione di inserire una gag, che sia un momento di leggerezza o, più probabilmente, un macigno travestito da battuta. Forse sono proprio il turbine della follia egocentrica della protagonista e il ritmo impetuoso a rendere ancora più spiazzanti i momenti in cui Borgli fa un passo indietro e sottolinea quanto, fuori dalla logica malata della protagonista, la situazione sia tetra e, alla fin fine, non ci sia proprio un bel niente da ridere.