Ballata dell’amore cieco
Nel 1830 il tormentato detective August Landor (Christian Bale) viene assoldato dall’Accademia militare di West Point per risolvere il mistero che circonda la morte di un cadetto della scuola. Troverà a fargli da assistente un giovane bizzarro, sensibile e perfino più alcolista di lui; un sedicente poeta di nome Edgar Allan Poe (Harry Melling).
A un certo punto, in Antlers (2021) di Scott Cooper, si accennava alla morale di Riccioli d’oro: “non rubare il cibo altrui”. Ogni fiaba deve averne una, si diceva, e possibilmente di facile comprensione.
Peccato dunque che un film pensato per esemplificare l’equazione tra horror e fiaba moderna diluisse la sua forza didattica in un racconto troppo denso di spunti metaforici, fino a risultare fuori fuoco.
Lungi da noi l’invocare un cinema determinista o a senso unico, facciamo questo esempio perché crediamo spieghi bene un difetto che grava anche su The Pale Blue Eye: non l’avere poco da dire, ma semmai la difficoltà nell’orientare lo sguardo spettatoriale all’interno di un materiale che presenta una gran varietà di possibili suggestioni interpretative, e che, in assenza di una guida più autorevole, finisce per confondere o passare per superficialità. Ne è esempio perfetto l’elemento più significativo e originale del film, altrimenti non diverso da cento altri mystery in costume: la presenza come personaggio di quel Poe che del racconto giallo (e di buona parte dell’immaginario fantastico/horror) può a ben diritto definirsi il padre. Perché tirare in ballo il maestro di Boston? Di nuovo la sceneggiatura di Cooper sembra indecisa sul da farsi. Poe l’investigatore come meta-commentario sulle forme della detective story? Poe l’occultista per raccontare una contemporaneità scossa da irrazionalismo e sfiducia nella scienza? Poe e Landor come soggetti romantici in contrasto con la disciplina “fascista” dell’Accademia? Ognuna di queste interpretazioni appare plausibile e al contempo forzata, o peggio in fondo superflua, anche per via di una regia che si limita oleograficamente a riportare il testo in immagini senza mai interrogarne o trasfigurarne il senso. Nebulosità e inconcludenza si riverberano insomma a vari livelli, facendo di The Pale Blue Eye un tipico esercizio di quella scrittura filmica corretta ma opaca, comune a tanti prodotti “medi” Netflix.
È infatti dal punto di vista produttivo (più che di qualsiasi esigenza espressiva) che l’idea di un thriller con protagonista il maestro dell’orrore risulta non solo pienamente giustificata, ma felicissima: The Pale Blue Eye arricchisce il catalogo giallo del gigante dello streaming iniettandovi un po’ di quelle nebbie ottocentesche che costituiscono un piacevole diversivo dalla chiassosità di Glass Onion, recentemente superato in testa alla classifica dei più visti; si inserisce in un certo filone di bibliofilia pop che in altri generi ha prodotto film come Dickens – L’uomo che inventò il Natale (2017) e di cui Poe risulta il re incontrastato, come mostra un’interessante articolo di Wired.it che si è occupato di listare film e serie tv che lo vedono protagonista; infine offre l’ennesimo ruolo-showcase al talentuoso caratterista Harry Melling (La ballata di Buster Scruggs, Le strade del male, La regina degli scacchi), aggiungendo un tassello importante a una carriera che per prestigio e riconoscibilità all’interno del brand promette ormai di farne il primo vero “attore Netflix”. Inutile a dirsi, il film va visto soprattutto per lui.