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Terra: clima

mercoledì 23 Dicembre, 2020 | di Edoardo Peretti
Terra: clima
Speciale Sistema Solare
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La fine dell’Antropocene
Inutile in questa sede ribadire quanto la questione del clima e della salute della Terra sia urgente. Lo dimostra, per esempio, anche la pandemia in corso, che trova una delle sue cause nel disboscamento massiccio e nella limitazione degli habitat della fauna selvatica – inevitabile ricordare il pipistrello di Contagion (2011) di Steven Soderbergh. La stessa pandemia, volendo, può essere letta come una sorta di monito della natura, soprattutto se la leggiamo nell’ottica di shock globale e “filosofico” dovuto anche alla sorpresa di qualcosa di inaspettato e incontrollabile per l’uomo, estraneo alla sua idea positivista e materialista di controllo totale e che porta con sé la necessità di creare un nuovo rapporto col pianeta e le sue regole. Anche questo è un tema che sarebbe trattato meglio in altri contesti. Qui basta accennare a come nel cinema degli ultimi anni emerga frequentemente la sensazione che l’Antropocene – l’era geologica caratterizzata in maniera decisiva dall’intervento umano – si avvicini al capolinea, e la natura prenda la sua più o meno drammatica rivalsa, talvolta sanguinosa, come nell’horror E venne il giorno (2008) di M. Night Shyamalan, dove sono gli alberi a causare un’epidemia di follia suicida nei territori, non a caso, del New England, le colonie originarie degli Stati Uniti.

“Hewlett’s daughter, I forgot her, Now I’m treating water and waste at night.” (Hewlett’s daughter, Grandaddy, 2001)

Un violento tornado. È questa la visione che caratterizza e scatena la lucida paranoia e la razionale angoscia del protagonista di Take Shelter (2011) di Jeff Nichols, film in cui la deriva psicologica del protagonista e la sottile commistione tra onirico e reale testimoniano l’idea di un futuro insondabile e minaccioso, probabilmente disastroso  e potenzialmente apocalittico, tipica, tra distopie e post-apocalissi di vario tipo, di molto cinema e di molta cultura dei nostri tempi. Il film di Nichols non sceglie con chiarezza uno dei tanti fronti caldi che danno al nostro presente un senso di “crepuscolo della storia” e all’avvenire un’aria di cupa indeterminatezza, ma è comunque significativo che un disastro naturale e climatico sia il simbolo visivo di crisi e paure indefinite quanto potenti. 

Ma la gente riunita qui ha paura di perdere di colpo il proprio lato oscuro, più misterioso di quello della Luna” (L’Ultima notte del mondo, Massimo Volume, 2019)

Aldilà dei numerosi e variegati documentari che sviscerano la questione – su tutti, The age of stupid (2009) di Franny Armstrong, che trova il suo specchio comico nell’acuta distopia demenziale di Idiocracy (2006) di Mike Judge – che la consapevolezza del cambiamento climatico inizi ad essere finalmente considerata un’urgenza può essere testimoniato dal fatto che sia diventata con il prolisso Downsizing  un tema affrontato dal “midcult” hollywoodiano, il cui riconoscimento spesso è una sorta di cartina di tornasole di quanto un problema inizi ad essere sentito. Nel film di Payne il rimpicciolimento dell’umanità non è però un toccasana, diventando anzi la replica in miniatura di tutto ciò che ci sta portando alla distruzione, dalle diseguaglianze e dallo sfruttamento “collettivi”, alle nevrosi e infelicità private. 

Se in Downsizing gli umani non imparano dai propri errori, non fanno una figura migliore nel cinema d’autore europeo. L’affascinante ed evocativo La quinta stagione (2013) di Peter Brosens e Jessica Woodworth racconta di un eterno inverno che colpisce un villaggio delle Fiandre, facendo riemergere le peggiori e più ataviche superstizioni. Qui in qualche modo il ribaltamento di forze compiuto dalla natura riporta l’uomo allo stato più selvaggio, mascherato da riti e credenze. Nel francese Coup de chaud (2015) di Raphaël Jacoulot è il caldo torrido e apparentemente innaturale a tirare fuori il peggio di una piccola comunità agricola, che ancora una volta viene costretta a privarsi delle maschere e regredire ad una sorta di bestialità crudele.

How’s it goin’ 2000 Man?” (He’s simple, he’s dumb, he’s the pilot, Grandaddy, 2001)

Questo pessimismo nei confronti dell’umanità e delle sue reazioni, ben diverse dalle prese di consapevolezza finali del catastrofico The day after tomorrow (2004) di Roland Emmerich o dell’animazione di WALL-E (2008) di Andrew Stanton, può ricordare più una resa che un allarme, più una constatazione disillusa che un monito. È quindi, per così dire, un pessimismo diverso da quello più vicino al preveggente avvertimento che caratterizzava le prime distopie e i catastrofici dedicati al cambiamento climatico e all’inquinamento incontrollato.

Nel 1961 il britannico E la terra prese fuoco di Val Guest, forse il primo film sul tema, inserisce il surriscaldamento globale nel filone del catastrofismo atomico: caldo esagerato, tornadi che distruggono Londra, nebbioni che sono calore evaporato e macchine da scrivere sciolte sono le conseguenze dell’olocausto nucleare. 2022 – I sopravvissuti (1973) di Richard Fleischer è inaugurato da fotografie, ironicamente accompagnate da un allegro motivetto jazz, che testimoniano le tappe dello sfacelo, raccontando il progresso del “secolo breve” che ha portato alla distopia di un mondo dal clima rovente, sovrappopolato e privo di risorse naturali. Il visionario e splendido Fase IV: distruzione terra ( 1974 ) di Saul Bass, raccontando la lotta tra due scienziati e delle formiche evolute e combattive, immagina quasi con provocatoria speranza un nuovo ordine in cui l’umanità diventa subordinata, uno strumento per ristabilire il giusto equilibrio – come risalta particolarmente nel finale alternativo.

E’ vero che non vogliamo pagare la colpa di non avere colpe e che preferiamo morire(Ho visto anche degli zingari felici, Claudio Lolli, 1976)

E la categoria che più di ogni altra oggi porta sulle spalle la consapevolezza, tanto da aver visto in qualche modo la trasformazione della lotta al cambiamento climatico in un simbolo generazionale? I giovani da un lato sono raccontati nella loro militanza in una serie di documentari, ma dall’altro questa consapevolezza assume sempre più spesso i colori del nichilismo di scelte drammatiche, nette e clamorose: esemplare è la classe liceale di giovani particolarmente dotati protagonista de L’ultima ora (2019) di Sébastien Marnier, per la quale la lucidità sullo stato delle cose diventa assenza di speranza, rendendo inevitabili soluzioni radicali. Allo stesso modo, il coming-of-age e la vicenda sentimentale della commedia adolescenziale The fighters – addestramento di vita (2014) di Thomas Cailley maturano sullo sfondo di un addestramento necessario per la sopravvivenza nel prossimo mondo: quello della fine dell’antropocene, nel migliore dei casi.

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