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In questo numero

Giove e Saturno

mercoledì 23 Dicembre, 2020 | di Maria Eleonora C. Mollard
Giove e Saturno
Speciale Sistema Solare
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Dove l’infinito è il nuovo territorio da colonizzare
Mentre sulla Terra quel teatro dell’orrore chiamato 2020 continua a imperversare sui nostri schermi e il cinema, esiliato dai boudoir sempre più superati della sala, sembra abdicare al suo ruolo di amante rassicurante, una dolcissima consolazione ci è stata offerta dalla volta celeste, dove Giove e Saturno hanno illuminato il cielo estivo e si sono continuati a rincorrere per tutto l’autunno, fino a congiungersi il 21 dicembre 2020.

I due giganti gassosi, protagonisti della scena notturna, non sono mai stati grandi star del cinema, mentre Luna, Marte e viaggi in galassie lontane hanno da sempre monopolizzano la scena. Tuttavia, seppur per brevi camei, sono ricordati in modo per nulla banale nella storia della fantascienza e la loro natura ineffabile ha comunque ispirato immagini memorabili. Si pensi al viaggio verso Giove della Discovery 1 in 2001: Odissea nello spazio, o, di recente, alla scene ipnotiche di Saturno nell’Interstellar di Christopher Nolan e nei primi due Star Trek di J. J. Abrams. Tante piccole comparsate nell’immenso quadro cosmico della cinematografia sullo spazio, dove sembra quasi che l’impossibilità di colonizzare Giove e Saturno abbia scoraggiato la fantasia dei registi. Andando a cercare i pochi titoli esistenti, si trovano prodotti perlopiù mediocri (un nome? il trascurabile Saturn 3 di Stanley Donen) e qualche b-movie in bilico fra trash, horror e visioni catastrofiche dell’universo. 

Le poche eccezioni vengono dalle lune di Giove e Saturno: Europa Report porta su più livelli – quelli del found-footage e dell’horror – la fantascienza ambientata su uno dei più grandi satelliti naturali di Giove. La piccola ma valida opera del regista Sebastián Cordero gioca su una tensione universale, degna di un ottimo thriller, ma rimane sicuramente un’eccezione nella cinematografia su Giove. Gli altri tentativi, come i più recenti Io (disponibile su Netflix) e The Wandering Earth, una produzione cinese, si concentrano sull’attualità pre-apocalittica (pensiamo a tutti gli sconvolgimenti climatici degli ultimi anni) più che sulla vera e propria esplorazione dello spazio e la ricerca di altre forme di vita. Se in Io la protagonista sembra vivere in un road movie dell’anima più che in un paesaggio post-apocalittico – e troviamo una morale un po’ facile sui danni che l’umanità sta infliggendo sadisticamente al pianeta – in The Wandering Earth si prova una sorta di imbarazzo, al di là della sospensione di incredulità, per un piano che prevede direttamente lo spostamento del nostro pianeta verso lidi più felici (sfruttare la spinta gravitazionale di Giove per uscire direttamente dal sistema solare). Altri rimandi in Gattaca – La porta dell’universo, che immaginava un possibile viaggio su Titano, o Starman – un flop all’epoca per John Carpenter – ispirato dal Voyager II, lanciato in orbita su Europa, con un invito ad altre possibili forme di vita.

Tutti esempi, comunque, in cui Giove, Saturno e le loro lune non sono mai protagonisti e la storia fantascientifica è solo un pretesto in un film drammatico. Si pensi, più in generale, a film come Gravity, che è tutto fuorché un film sullo spazio, ovvero la metabolizzazione del dolore di una madre (Sandra Bullock) che ha perso una figlia e, in quella che era una semplice missione, si ritrova “a zonzo” nello spazio, cercando di abbandonare il dolore tra le stelle. Similmente in First Man, Damien Chazelle ci racconta, sì, la missione dell’Apollo 11 e di Neil Armstrong, ma anche del silenzio (di Dio?) non solo sulla bellissima superficie lunare, ma nelle private stanze dell’animo umano di un padre che affronta l’unica perdita che è davvero contro natura, ed è anche qui, come in Gravity, la morte di un figlio. Cos’è Arrival del bravissimo Denis Villeneuve se non un riprendere il tema dell’incomunicabilità in chiave fantascientifica? Un modo per farci capire come il linguaggio ha scritto (e continua a riscrivere) la Storia dell’umanità, creando dei veri e propri ponti – sonori o meno – con gli altri esseri, umani o alieni poco importa. Sono solo alcuni esempi di fantascienza da “poesia confessionale”. Senza soffermarci troppo sul genere, abbiamo potuto godere del Solaris di Andrej Tarkovskij che, a voler ridurre velocemente un’opera immensa in due parole, si interroga sull’identità e il suo sistematico smantellamento in un mondo nuovo, quello del secondo dopoguerra. 

La fantascienza classica, quella levigata, pop, quella strettamente legata al mito della conquista dei mondi, di buoni e cattivi dall’aspetto diverso dal nostro, si è fermata sulla Luna e su Marte ed è andata oltre Giove e Saturno, immaginando i grandi viaggi interstellari. Tra gli anni ‘70 e ‘80, troviamo anche prodotti comici e alcuni non del tutto necessari – se non in termini sentimentali per i miei coevi – come: Ho sposato un’aliena, Le ragazze della Terra sono facili, Howard e il Destino del mondo, Cocoon e Teste di Cono. Invece, a cavallo tra i nineties e i noughties molti ricorderanno i martedì con l’appuntamento MTV Anime Night, “colpevole” di aver alimentato l’immaginario già florido di mondi lontani, echi poetici da pianeti come Giove e Saturno, che forse (se non per grazia di Elon Musk e Bezos) non vedremo mai. Trigun col suo pianeta da due soli e cinque lune, colonizzato dai terrestri dopo l’ennesima morte della nostra Terra. I cieli di Escaflowne, dove una ragazza si ritrova nella terra di Gaea, nel pieno di un medioevo tecnologico, in mezzo a cavalieri, guerre e nuove razze da scoprire. La ciurma di Cowboy Bebop che, su un letto di musica jazz/blues, ci accompagna in tutti i pianeti del nostro sistema solare, e oltre, nel dramma di un cacciatore di taglie, solitario quanto l’Agente K in Blade Runner 2049, suo malgrado testimone di come la razza umana sia incapace, indipendentemente dal pianeta che colonizza, di cambiare in meglio.

Guardando al futuro, la vittoria di Biden, la volontà di rientrare negli Accordi di Parigi sul clima, la prima vicepresidente afroamericana, il vaccino di Pfizer con un’efficacia quasi totale sembrano tutti segnali che la luce puntiforme di Giove e Saturno, benevolmente appoggiatasi su di noi, abbia avuto un effetto taumaturgico sui tumulti che hanno incrinato e separato internamente ed esternamente i paesi nell’ultimo anno (e senza bisogno di zone rosse, arancioni e gialle).

Quella meravigliosa luce in cielo, a scacciare le nostre ombre, non può fare a meno di ricordarmi la battuta emotivamente devastante di un film indimenticabile come La contessa scalza: “chi è nel fango tende a guardare le stelle”.

E così sia.

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