Il Pianeta Rosso come luogo di sogni, incubi e distopie americane
Nel 2020 saremmo dovuti finire a calpestare la superficie di Marte. Almeno secondo Brian De Palma nel suo Mission to Mars (2000), un film sci-fi che seguiva le fascinazioni che giravano nei confronti del Volto di Cydonia, una configurazione di altopiani somigliante terribilmente ad un volto umano. Errore della nostra percezione, effetto di quella che si chiama pareidolia, l’istinto incosciente di trovare geometrie e profili noti lì dove non esistono. Ma facciamo un passo indietro: gli studi astrofisici nei confronti di Marte assumono forma pratica solamente con le prime missioni sovietiche del 1960 ma, filosoficamente parlando, il cinema lo studia ancor prima: probabilmente il primo film di fantascienza è ambientato su Marte. A Trip To Mars venne girato nel 1910, quattro anni prima della prima guerra mondiale, prodotto dalla Manufacturing di Thomas Edison: uno scienziato scopre la reversibilità della forza di gravità e, grazie ad essa, finisce sul pianeta rosso, abitato da giganteschi uomini di pietra.
Ma viaggiare verso, attorno e su Marte è una pratica interdisciplinare. Nel 1963 Philip K. Dick, con quel solito tratto cospirazionista, visionario e allucinato, scrive Noi Marziani: è la storia di un ragazzino autistico che vive sul pianeta rosso, industrializzato e dominato dai sindacati in un tempo asincrono rispetto a chi lo circonda. L’acqua, su Marte, è un bene privato. È il tema politico, quello degli interessi economici sull’essenziale, che Dick condensa in una storia che critica da una parte la privatizzazione delle prime necessità e dall’altra la medicalizzazione delle malattie psichiche. Ma quelli di Noi Marziani sono così lontani dal nostro 2020: pochi mesi fa il Curiosity, il rover più famoso del mondo, ci ha confermato un passato acquifero su Marte, una storia distante milioni di anni fa.
A proposito di rover e dispositivi umani sul pianeta, difficilmente gli amanti di scienza e avventura non avranno apprezzato il The Martian (2013) di Ridley Scott. Fedele nei confronti dell’opera originale, il romanzo di Andy Weir, la storia di Scott è un inno all’interdisciplinarietà degli studi, all’uomo-scienziato del ventunesimo secolo: biologia, fisica, informatica e ingegneria sono gli strumenti che servono al protagonista per salvare la pelle.
Sempre per stare in tema fedeltà scientifica, una delle operazioni più interessanti è Mars, prodotta da National Geographic. È la storia di un’impresa di colonizzazione che avviene in un ipotetico 2033, ma il fascino sta nell’aver utilizzato, all’interno della serie, interviste reali a scienziati, studiosi e astronauti del 2016, come Elon Musk o Neil deGrasse Tyson. Ed è sempre una missione di quest’anno a raccontarci che la superficie sotterranea di Marte è costellata di caverne: il Mars Reconnaissance Orbiter satellite che gira attorno all’atmosfera del pianeta ne ha fotografata una a marzo. Cosa esiste nei tunnel eterni e silenziosi del pianeta rosso? Probabilmente nulla di così appassionante per un cinefilo che non sia anche un amatoriale dell’astrofisica o un appassionato di minerali. Eppure, caverne e Marte fanno venire in mente ancora una volta Philip K. Dick o, meglio, il regista olandese Paul Verhoeven e la sua trasposizione di Atto di Forza (1990). Nel film, Marte è il sogno di fuga da una terra rumorosa, sovrappopolata ed inquinata, per di più afflitta da atti terroristici. Sui monitor della metro caotica Marte viene offerto come meta turistica, un eden dove dimenticare lo stress della vita terrena. Il pianeta rosso, sognato dal protagonista Arnold Schwarzenegger, virtuale o reale che sia, è quello di una società che vive sotto la superficie, multietnica e in preda alla legge del più forte. Distopia politica di un futuro che dopo l’11 Settembre si disegnava nel nostro reale.
Su Marte i ribelli fanno saltare in aria quello che possono e sparano all’esercito privato. “Più soldi, più libertà, più aria”, sono le parole che dice un tassista quando il protagonista chiede per cosa combattono i ribelli. La società marziana è afflitta da una guerra civile in nome della libertà e ricorda sempre più da vicino l’instabilità degli Stati Uniti del 2020.
C’è chi su Marte ha inscenato l’eterna faida a tre tra banditi, cowboy e indiani del mito d’America: è John Carpenter, col suo Fantasmi da Marte (2001). Il regista, con la sua dialettica anarchica, gira un film d’azione dove i buoni e i cattivi si uniscono per combattere una forza sepolta e rancorosa. John Carter (2012) è invece la storia di un soldato della confederazione che rivive l’epopea della guerra anche su Marte, una guerra che accelera e si trasforma in sopravvivenza alla distruzione totale.
Per chiudere, sarebbe impossibile non citare Mars Attacks! (1996), uno degli ultimi grandi film di Tim Burton: la parodia e l’omaggio alla sci-fi degli anni ‘50. Tra chihuahua, hippy e colombe che esplodono, è anche e soprattutto parodia di una società consumistica e instupidita, ma anche di una cultura che nonostante tutto sa farsi voler bene: sarà la musica country a liberarci dall’invasione dei marziani.