E tu vivrai nella morte
Bloodborne aveva dato adito ai primi veri dubbi dell’instaurarsi di un rapporto sadomasochistico tra sviluppatore e giocatore, rafforzando forte l’idea di difficoltà e arrendevolezza come fonte del piacere. La saga dei Souls di From Software in questi ultimi anni ha costruito il proprio successo stuzzicando un senso quasi sopito ormai negli hardcore gamers, quello di sfida ai limiti della frustrazione, che richiede una dedizione e uno sforzo a migliorarsi poco comune oggi.
È quasi inutile in questo articolo, considerata la data d’uscita del videogame, soffermarsi sulle specifiche di gameplay di Dark Souls 3. Ma giusto per sintetizzare chi ancora non conoscesse la saga, è un action/RPG ambientato in un universo fantasy medievale. Per chi invece ha già avuto modo di avere esperienza con le realizzazioni della From Software, Dark Souls 3 rappresenta un perfezionamento di tutto ciò che in passato ha già imparato a conoscere. Medesime meccaniche di combattimento, totale libertà nel costruire il proprio PG, un level design di altissimo livello, una direzione artistica delle singole aree realmente superba per atmosfera, un racconto che segue le medesime direttive, continuando la silenziosa rivoluzione nella narrazione videoludica, abolendo ogni forma di narrato tramite cutscene ma costruendo una lore tramite quello che generalmente viene considerato il contorno. Dark Souls 3 di fatto rappresenta il capitolo più conservatore, o meglio ricettacolo di tutte le migliorie che nel tempo si sono susseguite. In particolar modo rappresenta anche il titolo più frenetico, seppur lontano da quella rivoluzione copernicana di Bloodborne in cui l’abolizione degli scudi costringeva il giocatore ad assumere una tattica offensiva: qui troviamo una sorta di equilibrio tra difesa e attacco, seppur l’attesa rappresenti la soluzione meno efficace per i combattimenti. Ma il vero fulcro di questa recensione è di rispondere a un quesito: quanto Dark Souls 3 è se stesso? Quanto l’ultima fatica dei From Software rappresenta un Souls? Da qualche parte accusato di essere leggermente più semplice degli episodi che lo hanno preceduto, in realtà rappresenta la summa filosofica che sta dietro alla saga, catalizzatore non solo delle sue evoluzioni contenutistiche, ma anche dei suoi stessi giocatori. La serie dei Souls si è sempre distinta dai videogiochi trial and error per il fatto che il morire ripetutamente non portava benefici diretti all’avventura, ma più sottilmente li apportava in chi ci giocava, con un accumulo d’esperienza effettivo nell’utente. Un grado superiore raggiunto all’interno degli RPG, soprattutto per chi ha vissuto progressivamente tutte le incarnazioni del gioco. Dark Souls 3, oltre a tutti i suoi pregi prettamente tecnici e artistici, però rappresenta un certo immobilismo tipico di quelle saghe ormai giunte alla completa maturazione, che lo rende “solo” un grandissimo titolo mancante di quel qualcosa in più. Dark Souls 3 mostra di aver senso nell’aver portato a termine un percorso con il giocatore, un percorso che travalica la parete del monitor per giungere a un diretto coinvolgimento esperienziale sulla persona e non più limitato al solo PG.
Dark Souls 3 [id., Giappone 2015] SVILUPPATORE From Software.
DISTRIBUZIONE Namco Bandai.
PIATTAFORME Microsoft Windows, Playstation 4, Xbox One.
Azione/RPG.