Sabbie immobili
I Loony “buco nero”, tutto in Ombelico infinito parte da qui. Precisamente dal momento in cui, dopo quarant’anni di matrimonio, mamma e papà Loony annunciano il divorzio e invitano tutti i figli e i nipoti nella loro grande casa che si affaccia sull’oceano. Qua emerge timidamente, ma con alcuni momenti laceranti, il passato della famiglia, dalle carenze di affetto al bene non corrisposto. Emergono, tuttavia, tanto l’amore fraterno, paterno e materno quanto l’incapacità di saper sciogliere i nodi che legano indissolubilmente l’esistenza di un essere umano al proprio nucleo familiare.
Il buco nero è questo: la famiglia, un oggetto sociale non ben definito, composto da anime che vorrebbero dire la loro, ma che alla fine finiscono per non potersi esprimere liberamente, se non con gesti che hanno sempre un rapporto stretto con il loro punto d’origine.
Ed è proprio da questo punto d’origine che si materializza la metafora dell’ombelico infinito, dell’ombelico senza fondo (Bottomless Belly Button è il titolo originale dell’opera), da una parte cordone dal quale è impensabile separarsi, dall’altra vortice invisibile che risucchia le esistenze in sabbie (im)mobili, dalle quali non è possibile uscire, ma nemmeno completamente sprofondare. Il racconto di Dash Shaw, grazie a questi presupposti, esercita dunque le sue suggestioni sulla concezione che la famiglia è il luogo sempre e virtualmente abitato, a prescindere da dove ci si trovi fisicamente.
La grandezza di Ombelico infinito sta nel sondare tutto il mistero di questo luogo, bellissimo quanto malsano, con un disegno dai tratti infantili, che rimanda appunto a un periodo della vita nel quale è possibile esprimersi con più volontà e meno legami psicologici soffocanti. I segni, le fisionomie, i lineamenti scelti da Shaw hanno la funzione precisa di trasportarci nei drammi delle relazioni umane in modo ossimorico, come a dire che si possono comunicare con il linguaggio più essenziale le cose più complesse del sentire e del percepire. Prendiamo, ad esempio, le emozioni: molto del lavoro di messa in quadro di tutta l’opera ha a che fare con quelle dei personaggi; il modo di intensificarle – attraverso l’aggiunta di verbi che accompagnano le azioni più intense, sostantivi che descrivono le atmosfere decisive per il coinvolgimento del lettore, ingrandimenti o intensificazioni della frequenza delle vignette – conduce sempre verso forme essenziali, semplici, facilmente intelligibili. Ecco la qualità più onesta e prorompente di Ombelico infinito, questo nuovo, piccolo, grande romanzo americano: la semplicità. Qualità spesso dimenticata, che forse facciamo finta di non desiderare, ma della quale abbiamo un tremendo bisogno. Odiata, ripudiata e amata in silenzio. Proprio come è la famiglia per i Loony.