Come distruggere una città in 2000 pagine (e sdoganare contemporaneamente in tutto il mondo il manga e il cinema d’animazione nipponico)
Ormai è un dato di fatto. Nel mondo dei fumetti nipponici – i manga –, delle loro serie animate – gli anime – e dell’animazione giapponese in toto, c’è un prima e un dopo Akira, se non altro dal punto di vista della ricezione di quest’arte nell’Occidente del mondo.
Prima di Akira, più che i manga, a imperversare erano gli anime che passavano in tv (Mazinga Z, Heidi, Lady Oscar, Lamu…) che, nonostante le varie proteste dei benpensanti sulla loro violenza e carica erotica (rispetto ai film Disney, unico metro di paragone ai tempi) e con poche eccezioni, erano comunque innocue: personaggi buoni e cattivi erano nettamente riconoscibili, il male alla fine veniva sempre sconfitto, i sentimenti amorosi erano trattati piuttosto schematicamente a uso e consumo di una generazione cresciuta leggendo la posta del Cioè.
Poi arrivò Akira. Ciao ciao ambientazioni colorate e solari, ciao ciao alabarde spaziali, ciao ciao zuccherosi innamoramenti adolescenziali. Benvenuta fantascienza distopica, benvenuti spazi bui immensi e soffocanti, benvenute riflessioni filosofiche, benvenuta critica sociale e politica, benvenuta violenza devastante ed esplicita. Akira è tutto questo, e molto altro. Più di 2000 pagine che occuparono Katsuhiro Otomo (sia sceneggiatore che disegnatore) per otto anni, dal 1982 al 1990, perfettamente in sincronia con la corrente fantascientifica più originale di quegli anni, il cyberpunk, con tutto il suo bagaglio di riflessioni sulla fusione corpo/macchina e sulla memoria, la sua visione degradata del futuro, i suoi esempi violenti di evoluzione dell’uomo dal suo stadio umano. Fu la Epic Comics, una divisione della Marvel, a pubblicare per prima Akira negli USA e in Europa (1988): era una delle prime volte che un manga veniva tradotto e pubblicato integralmente in Occidente, con un successo immenso accresciuto anche dall’exploit del film omonimo (uscito in Giappone nel 1988, negli USA nel 1990 e in Europa nel 1991). Da allora prese il via una più sentita e accurata pubblicazione occidentale dei manga nipponici, e si sdoganò definitivamente il cinema d’animazione di autori come Miyazaki, Oshii, Kon, Anno… In Italia, Akira si è visto per la prima volta nel 1990, in un’edizione incompleta curata dalla Glénat, poi nel 2000, integrale e in 13 volumi per la Planet Manga della Panini, e infine ristampata in sei volumi nel 2005 sempre dalla Planet Manga.
La storia del manga non differisce di molto da quella del film: Otomo, sulla carta stampata, può semplicemente permettersi maggior complessità (narrativa e psicologica), aumentare il numero di personaggi in gioco e tessere miriadi di sottotrame, senza andare a discapito della comprensione generale dell’opera. Qui Otomo porta a compimento tutte le tematiche, le ossessioni e le particolarità stilistiche che aveva iniziato a sviluppare nelle sue opere precedenti: i poteri telepatici – già alla base del precedente Domu. Sogni di bambini (1980-82) -, i contrasti tra nuove e vecchie generazioni, i suoi affascinanti disegni giganti di ambientazioni urbane, dettagliatissime e dalla struttura architettonica complessa e studiata, con molti rimandi alle visioni di Escher (non a caso, in uno dei suoi primi lavori, Fireball del 1978, Otomo cita esplicitamente Mano con sfera riflettente). In Akira, Neo Tokyo e la sua architettura ridisegnata sono elementi fondamentali, specchio e amplificazione delle emozioni dei personaggi, il cui mutare incide fortemente sulla storia e sulla crescita psicologica dei protagonisti. Ed è proprio nella rappresentazione della città che è possibile dividere Akira in due parti: la prima più “civilizzata” e “ordinata” (che coincide, con dovute e ovvie semplificazioni, con la trama del film), ambientata in una Tokyo brulicante e rumorosa, percorsa da ampie strade costantemente trafficate e soffocata da edifici freddi e imponenti; la seconda, “apocalittica, caotica e anarchica”, con la città totalmente distrutta e ridisegnata, e i sopravvissuti divisi in violente fazioni in guerra tra loro. Per dividere i due blocchi, sottolineare l’importanza del cambiamento di scenario e riscrivere i ruoli dei vari personaggi, Otomo in medias res dà libero sfogo al “godzilla” che è in lui, disegnando una quarantina di pagine composte unicamente da vignette di distruzione totale, edifici che crollano, esplodono e implodono: una magnifica orgia di devastazione eguagliata forse solo da alcune saghe del Giudice Dredd, ma unica nella sua precisione grafica ai limiti, se non oltre, della maniacalità. Le stesse emozioni si ritrovano anche nel film, ma è nel manga che il tutto ha un senso compiuto, che il cerchio di nascita-morte-rinascita si chiude, che la storia e i personaggi diventano epici e leggendari. Akira film è il perfetto riassunto di un’opera fluviale e meravigliosa, quell’Akira manga che dovrebbe stare sugli scaffali di ogni serio cultore di fumetti: approfittate per colmare il vuoto, ora che siamo al 25° anniversario, con la ristampa in blocco dei sei volumi dell’ultima edizione della Planet Manga, anche se proposte al prezzo-ladrocinio di 80 euro…
Akira [id., JAP 1982-1990]
SCRITTO E DISEGNATO DA Katsuhiro Otomo.
EDITORE ITALIANO Planet Manga (Panini Comics).