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Maya Deren

sabato 9 Ottobre, 2021 | di Chiara Checcaglini
Maya Deren
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Amateur is a Lover

Nella cornice della fine dell’estate si è svolta a Bologna la rassegna Amateur is a Lover, curata da Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia per Archivio Aperto e dedicata a Maya Deren, leggendaria filmmaker, teorica, scrittrice, poeta, danzatrice, figura centrale del cinema sperimentale americano. I suoi film sono stati proiettati in 16mm, alcuni sonorizzati live da Francesca Bono e Vittoria Burattini: è raro avere il privilegio di vedere i primi film di Deren in pellicola, ancora più raro vederli riuniti in un programma che ne esalta le connessioni e le differenze, la coerenza poetica e artistica così come la poliedrica varietà di influenze e suggestioni, in una esperienza visiva e sonora di grande potenza.

Nel percorso presentato, che va da Meshes of the Afternoon (1943), a At Land (1944), a A Study in Choreography for Camera (1945), poi seguiti dal dittico Meditation on Violence (1948) e The Very Eye of Night (1958), affiorano costantemente i motivi del rituale, della ripetizione, della moltiplicazione di corpi e identità, e soprattutto dell’attraversamento dello spazio e del tempo grazie al dispositivo cinematografico.

Film che rifiutano la linearità narrativa e la chiusura, e temi che spesso si schiudono a partire dal corpo, sovente quello della stessa Maya, figura da ogni punto di vista moderna e unica – i folti capelli ricci, i vestiti fatti a mano, i sandali, il rossetto, altra rispetto all’iconografia che immaginiamo quando pensiamo agli anni Quaranta – come se fosse capace di concentrare tramite la sola presenza fisica epoche passate e future. Vedendo oggi questi film risaltano simboli e figure familiari, a volte trattenute e rielaborate dai movimenti di avanguardia coevi o precedenti, ma che fanno anche da ponte con il futuro e riverberano fino al cinema contemporaneo. Il celebre esordio Mashes of the Afternoon arriva dall’interesse di Deren e del marito e collega Alexander Hammid per l’attività onirica e il concetto di identità, e il desiderio di Deren di sperimentare le possibilità soggettive della cinepresa. Realizzato in collaborazione tra i due, Meshes è una storia di cloni di Maya che dal sogno prendono vita e si rivoltano contro chi le ha sognate. La materia onirica si esprime nelle ripetizioni, nella trasformazione di oggetti e spazi, nelle inquadrature mobili e oblique, e negli elementi ricorrenti: le scale, gli specchi, le ombre (è risaputo che Deren fosse conquistata dall’idea della permeabilità tra realtà e illusione, è da lì che Elenora prende il suo nome d’arte, Maya, e non è un caso che nel film la si veda attraverso un velo).

Tutti gli elementi – il montaggio, le ripetizioni, le trasformazioni degli oggetti contribuiscono alla successione verso la materia degli incubi (passi incerti, inseguimenti vani, scale costantemente salite) fino al brutale finale.

In Meshes una clone armata di coltello si muove posando i propri passi di volta in volta su una superficie differente dal precedente (sabbia, erba, mattonelle, moquette). Questo potere “teletrasportante” del cinema ritorna in At Land, dove ancora una volta lo spazio e il tempo rispondono a regole proprie e l’attraversamento è la cifra delle azioni esplorative di una Maya portata dalle acque del mare e attirata in uno strano percorso. At Land è una rivendicazione di singolarità di sguardo, di vocazione all’esplorazione, di concezione del mondo e del cinema. Quasi come se fosse una protagonista in senso classico, seguiamo Deren nel suo spostarsi da un luogo all’altro, seguendo una sorta di desiderio curioso che la porta in posti insoliti. Alla fine però si lascia dietro tutte le altre presenze – i convitati al banchetto, gli uomini con cui conversa nel sentiero di campagna (il poeta Philip Lamantia, lo scrittore Parker Tyler e il compositore John Cage) – per poi tornare sulla spiaggia, e liberarsi, dopo gli uomini, anche delle donne che la circondano e infine degli scacchi, evidente simbolo di schemi e regole da conoscere per sovvertirle.

La sperimentazione sul movimento in uno spazio reso percorribile e infinito dalla cinepresa prosegue con A Study in Choreography for Camera, film di danza incentrato sul corpo del ballerino afroamericano (poi anche coreografo) Talley Beatty. Ancora una volta non c’è linearità, ma attraversamenti di spazi e inquadrature. L’integrazione tra movimento e cinema è ricercata attraverso l’esaltazione del controllo del corpo, la sua frammentazione, la giustapposizione tra Beatty e gli oggetti di una stanza, poi la scultura di un Buddha nella sala egizia del Metropolitan Museum: il montaggio unisce nella segmentazione, rende evidente l’intento della cineasta di allontanarsi il più possibile dal teatro e danza filmati verso qualcosa che può esistere solo attraverso il cinema.

In Ritual in Transfigured Time convergono molti degli elementi precedenti: per la moltiplicazione degli ambienti e per il coinvolgimento di tanti amici improvvisatisi attori, tra i quali la ballerina Rita Christiani, decisiva anche nell’apporto creativo al film, e la scrittrice Anaïs Nin, è forse il progetto più complesso. Protagonista è ancora Deren, alle prese con rituali domestici e culturali, ma altrettanto centrali sono altre donne, tra cui una misteriosa presenza osservante e un’altra abbigliata da vedova. Dalle stanze di una casa, dove Maya e Rita che avvolgono una matassa di lana, a una festa, dove tutti si scambiano gesti stilizzati, abbracci e piroette; successivamente un esterno, dove la danza riprende il sopravvento, in un gioco di rispecchiamenti tra un ballo a due e quello più scomposto di tre donne, simili a un gruppo scultoreo. L’uso del ralenti dilata i movimenti, ne evidenzia la natura rituale e forse artificiale: il corpo del ballerino si fa statua e viceversa, e quando svolazzando inizia a inseguire i personaggi, la protagonista non può che darsi alla fuga, per poi finire in una trasfigurazione a metà tra l’acquatico e l’immateriale.

Se la proiezione di Meshes of the Afternoon si è avvalsa della sua colonna sonora composta da Teiji Ito, i muti At Land, A Study in Choreography for Camera e Ritual in Transfigured Time sono stati sonorizzati dalle melodie astratte e ritmate di Vittoria Burattini e Francesca Bono, assolutamente centrate nel richiamare le connessioni fantasmatiche all’opera nei film e trasferirle dai film alla platea di spettatori e spettatrici pronti a fare proprio lo sguardo fiero, intenso e indipendente di Maya Deren.

  • Amateur is a Lover. Sonorizzazione di Vittoria Burattini e Francesca Bono.
  • Meshes of the Afternoon [USA 1943] REGIA Maya Deren, Alexander Hammid. Durata 14 minuti.
  • At Land [USA1944] REGIA Maya Deren. Durata 14 minuti.
  • A Study in Choreography for Camera [USA 1945] REGIA Maya Deren. Durata 3 minuti.
  • Ritual in Transfigured Time [USA1946] REGIA Maya Deren. Durata 14 minuti.

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