…..ma anche no!
Sembra quasi ovvia la visione di un documentario sul nostro Presidente del Consiglio. Sembra anche ovvio aspettarsi molta ironia e qualche nuovo scandalo.
Forse per questo il film di Faenza e Macelloni sceglie una linea guida diversa che esplicita già nel sottotitolo, “una autobiografia non autorizzata”, dell’uomo Silvio che diventa, nel tempo, uomo politico. Il racconto vede come unico protagonista il Cavaliere, sia nelle immagini pubbliche che costituiscono il documentario, sia nell’audio extra filmato, in parte recitato da Neri Marcorè e ripreso da un progetto biografico pensato da Paolo Guzzanti molti anni fa e riproposto in questa occasione. Ma la storia parte dagli albori, dalla Guerra e dai primi investimenti che sarebbero poi diventati la base di un patrimonio fatto di miliardi. Almeno stando al racconto del protagonista indiscusso del film e della vita politica italiana degli ultimi quindici anni. L’operazione Silvio Forever è un documentario nella definizione classica: un susseguirsi di immagini legate tra loro da un montaggio impeccabile. Immagini d’archivio, estrapolate da telegiornali del passato e di oggi, apparizioni pubbliche e video web extra territoriali, e spesso anche extra europei, che rappresentano l’idea, ormai consolidata, del nostro Premier all’estero. Un montaggio pulito, che solo in pochi momenti si fa veicolo di un’idea, ma che per la maggior parte del film è solo mezzo d’unione. L’ironia arriva dalle immagini singole, non da come si susseguono. L’unica voce che udiamo per 85 minuti è quella di Silvio Berlusconi, magari reinterpretata, ma le parole che ascoltiamo sono le sue, il regista rimane fuori da questo meccanismo, come forse non siamo abituati (basti pensare a Guzzanti o Deaglio), e forse ne rimaniamo stupiti. Ma non necessariamente in modo positivo, la non partecipazione dei costruttori dell’opera rende sicuramente ancora più realistico (e meno fazioso e attaccabile) ciò che vediamo, documenta momenti della nostra storia che tuttavia conosciamo molto bene. Non manipolare né con il montaggio né con una voce fuori campo le immagini, rende l’operazione alquanto statica, non aggiunge nulla di nuovo alla già triste storia che si chiama politica.