Vita tranquilla di Tatanka scatenato
Guardare Tatanka e non pensare a Gomorra è impossibile. Seguirne gli sviluppi e non vedervi accenni a film come Fortapàsc o Una Vita Tranquilla molto difficile. La sensazione è quella di trovarsi davanti ad un’opera che voglia fungere da cassa di risonanza, da amplificatore, da riflesso.
Una delle battute più efficaci del film ci ricorda che davanti allo specchio un pugile non si deve specchiare, si deve guardare. “Non sei tu, è un altro quello che vedi”, dice Vinko (Rade Serbedzija) ad uno dei ragazzini che allena nella sua palestra. Perché nella boxe lo specchio è fondamentale. Nel suo racconto Tatanka Scatenato, Roberto Saviano ricorda come Domenico Valentino (il pugile campione cui, insieme a Clemente Russo, egli dedica le sue riflessioni) faccia tutto davanti allo specchio. Saltare la corda, lanciare i pugni, mettere a punto la guardia. Nel pugilato, continua lo scrittore napoletano, il corpo riflesso sulla superficie dello specchio non appartiene più al pugile che si guarda. Lo stesso in Tatanka. Clemente Russo (Michele) ci appare, fin da subito, “carne” e insieme simbolo di qualcos’altro. Possente agglomerato di forza e disperazione, abbandono e rabbia, egli è sia desiderio di distinguersi dalla codardia che lo circonda, sia voglia di riscattare chi non ce l’ha fatta. La sua fisicità circoscrive i limiti di un film che se non innova dal punto di vista tematico e del linguaggio, fermamente però sceglie di collocarsi in una precisa direzione. Quella indicata da opere come Gomorra, Il Divo, e Vincere. Quella di chi la realtà vuole guardarla in faccia, magari assestandole qualche buon colpo, come quelli di Clemente sul ring. Tuttavia il film di Gagliardi risente di una certa debolezza: nonostante le capacità del cast (sopra tutti ricordiamo il personaggio di Sabatino, interpretato da Giorgio Colangeli) un eccesso di narrazione grava sulla storia. L’opacità del mondo di Marcianise, l’inerzia della vita destinata a soccombere alla violenza, la realtà, in definitiva, che Gomorra ci ha sbattuto in faccia è davvero un fardello troppo pesante. Imprescindibile peso dell’Italia passata e presente, è necessario cominciare a prenderne le distanze, magari partendo dall’energia di Michele, ma escogitando infine nuove forme di rappresentazione, nuovi linguaggi. Perché ormai non basta più (ri)specchiarla la realtà. Per poterla cambiare bisogna guardarla davvero, e affrontarla come fa Clemente Russo che a volte, scrive Saviano, dimentica di essere un pugile. Fronte bassa, naso a livello del petto, occhi tirati in su da guerriero in estasi da combattimento. E poi colpi, colpi e ancora colpi. “Bisogna urlarglielo dall’angolo che è uno sportivo, non un picchiatore”.