I Coen e la fine del mito
Il cinema western è da anni tramontato e isolato a pochi film, per i quali gli appassionati si chiedono se l’opera in questione possa essere coerentemente inserita nello sviluppo e nella “mitologia” del cinema di frontiera, o se si limiti ad essere esercizio di stile e operazione di cinefila nostalgia.
Nel caso dell’atteso Grinta coeniano è certo evidente l’autorialità dei due fratelli, i quali anche questa volta si divertono a rileggere e decostruire il genere cinematografico, usandolo strumentalmente come veicolo per le tematiche, i caratteri e i toni a loro consueti: ritroviamo così il cinismo, l’umorismo sardonico, il substrato nichilista e i personaggi stravaganti e schizzati. D’altro canto, toccando, ancora una volta, alte vette di grande cinema, aggiungono un tassello importante e significativo alla storia e all’epopea del genere americano per eccellenza.
Il western è il terreno preferito per la mitizzazione e la rielaborazione delle origini, della storia e dell’identità statunitense, e, in questa chiave di lettura, Il Grinta si pone in un momento preciso dello sviluppo della nazione: il passaggio, a fine Ottocento, dalla mitica “età della frontiera”, anarchica, caotica, individualista, simboleggiata dall’eroe, alla formazione di un sistema giudiziario, politico ed economico che poco spazio lasciava ai valori prima dominanti: il passaggio, per intenderci, sintetizzato in L’uomo che uccise Liberty Valance dai personaggi contrapposti del senatore interpretato da James Stewart e dallo sceriffo di John Wayne. Nel film dei Coen, questo processo storico è legato a due elementi: innanzitutto la demitizzazione, anche iconica, dell’eroe, evidente soprattutto se paragoniamo il Cogburn di Jeff Bridges a quello di John Wayne: il Duca compare in scena cavalcando in tutta la sua grandezza, mentre il Cogburn di Bridges si presenta chiuso in una latrina, e poi, in tribunale in una soggettiva della giovane Mattie Ross: se il grinta di Wayne appare sempre dignitoso e con una certa eleganza, i Coen non esitano a mostrare il loro sceriffo sfatto, sporco e vestito da una lercia calzamaglia.
In secondo luogo, la ragazza, dal cui punto di vista si svolge la vicenda, come dimostrano sue soggettive in momenti chiave, è l’embrione dell’affaccendato capitalismo puritano e del dominio ufficiale della “legge” che presto prenderanno il sopravvento, sostituendo i valori del vecchio West: a questo proposito è significativo il fatto che Cogburn appaia per la prima volta, nella penombra, proprio in una soggettiva della ragazza. Infine l’epilogo: una trentina di anni dopo, la conquista della frontiera è ormai triste attrazione da fiera paesana, e Marie è di fronte alle tombe del padre e del Grinta: la camera rimane fissa con le lapidi in primo piano, mentre lei si allontana fino a uscire dal pro-filmico, simbolo della direzione che sta seguendo il paese.
Il Grinta [True Grit, USA 2010] REGIA Joel e Ethan Coen.
CAST Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper, Dakin Matthews, Domhnall Gleeson.
SCENEGGIATURA Joel e Ethan Coen (remake del film Il Grinta di Henry Hathaway, 1969). FOTOGRAFIA Roger Deakins. MUSICHE Carter Burwell.
Western, durata 110 minuti.