Omaggio al passato
Arrivato alla trentesima edizione, caratterizzata da tanti successi, quali le numerose presenze in sala, gli ospiti che si sono succeduti e le interessanti retrospettive presentate, il Premio Internazionale alla Miglior Sceneggiatura Sergio Amidei si distingue anche per l’unanime decisione riguardo il nome del vincitore.
Si tratta di Sylvain Chomet con la sua opera, L’Illusionista, film d’animazione che possiede tutta la grazia di un prodotto artigianale realizzato con la passione di chi ama il proprio mestiere. Sembrerebbe un paradosso conferire questo riconoscimento, a un film dove a stento viene detta qualche parola, ma, come afferma Francesco Bruni, noto sceneggiatore e membro della giuria del Premio, leggendo la motivazione: “per aver dimostrato che, anche in un film d’animazione si possono scrivere personaggi incantevoli e originali, cui la delicata perfezione del disegno offre ulteriore profondità”. Un’ulteriore motivazione riguarda la sensibilità con cui è stata riportata alla luce e al successo una sceneggiatura scritta negli anni Cinquanta da Jacques Tati, custodita dalla figlia che, dopo aver apprezzato il primo lungometraggio di Chomet, Appuntamento a Belleville, decide di affidargliela. Letta durante un viaggio in treno, mezzo privilegiato dal regista e dal suo protagonista, procura inizialmente forti dubbi e preoccupazioni nella mente del cineasta. Da un lato la responsabilità e il timore di far rivivere Tati stesso, trasformandolo il disegno animato, il maldestro e malinconico mago Taticheff, cognome completo del regista; dall’altro la voglia di portare avanti progetti propri. Ma resistere e rinunciare è impossibile. Comincia dunque un lavoro complesso nella realizzazione dei lunghi piani affollati di oggetti e personaggi, ognuno dotato di vita propria. Film d’animazione decisamente atipico, così distante dai prodotti perfettamente costruiti grazie al supporto del computer, che vive della particolarità del disegno a matita di Chomet; è il regista stesso ad affermare che il cinema, soprattutto quello d’animazione, non è fatto solo di blockbuster americani: certo avranno il successo economico che tanto tranquillizza i produttori, ma si va a dimenticare, purtroppo, l’essenza dell’arte del movimento. Usare un computer permette di arricchire l’immagine, come nel caso dei giochi di luce negli sfondi de L’Illusionista, ma è necessario difendere ancora la tradizionale artigianalità del 2D, ormai sempre più soffocato dagli estimatori della terza dimensione. È un modo di fare cinema d’animazione che conquista un pubblico che ama il cinema stesso, in Europa così come oltreoceano, nonostante Chomet affermi che oramai la forza statunitense con i suoi “prodotti” stia gradualmente divorando sia la concorrenza europea che quella orientale, nella quale rimane Hayao Miyazaki, ammirato per la poetica intelligente della sua filosofia. C’è odore di nostalgia nelle parole del cineasta, un ritorno al passato compiuto grazie all’ambientazione della storia vincitrice negli anni Cinquanta, periodo estremamente interessante da disegnare a suo parere, più ricco, dove il disegno aveva un posto privilegiato nel panorama dell’arte. Nonostante questa predilezione, il nuovo progetto di cui ha parlato sarà ambientato ai giorni nostri: niente animazione, ma rimane il lato fortemente visivo, sulla scia del episodio da lui realizzato nel film collettivo del 2006, Paris je t’aime. Sarà un musical basato sulla danza, colorato e positivo, ammettendo che si può mettere in scena il presente, anche se non è così piacevole come rendere il passato. Il Premio Amidei si conclude ufficialmente con la consegna del riconoscimento durante l’ultima serata di proiezioni, tra i flash dei fotografi e gli applausi del pubblico che premiano un artista che ha contribuito in maniera significativa ad innalzare non solo l’animazione ma il cinema stesso, continuando a realizzare piccole perle rare, ma che tutti noi possiamo possedere.