Per chi suona la mazza chiodata?
È una prova del fuoco quella di The Northman, il terzo film di Robert Eggers dopo l’accoglienza critica di The Witch e The Lighthouse. Lo è perché con questo nuovo film il regista cerca di uscire dal cinema arty, sotto l’egida produttiva di A24, e di ampliare il suo discorso a un pubblico più ampio e a un impianto economico più mainstream (90 milioni di budget, distribuisce Universal), mescolandolo con la sua visione personale. È una prova che però solleva più di un dubbio.
Il film parte dalla leggenda nordica che ha ispirato l’Amleto di Shakespeare e racconta di un uomo (Alexander Skarsgård) che torna dopo molti anni di esilio forzato per vendicarsi dello zio (Claes Bang) che ha ucciso il padre (Ethan Hawke), sposato la madre (Nicole Kidman) e lo ha costretto a una vita da schiavo.
Sceneggiatore assieme al poeta islandese Sjòn, Eggers prende il suo approccio ieratico e il suo gusto metafisico per le immagini e prova ad adattarlo a un racconto di brutalità e vendetta gestito in modo più lineare, alle necessità del pubblico di empatizzare con i personaggi, al dovere di servire la produzione e la fruibilità del film prima delle visioni artistiche dell’autore.
È un tentativo di ibridazione che potenzialmente poteva dare frutti notevoli, su cui si sono costruite grandi carriere, peccato che The Northman non tragga beneficio dal mix, anzi sembra che ogni elemento in scena depotenzi l’altro, che la forza popolare e violenta del racconto si spenga, che le scelte estetiche e stilistiche di Eggers si adeguino all’estetica monocroma e corrusca della televisione secondo HBO. Eggers non riesce a piegare le gabbie della produzione e così il suo racconto perde mordente e lo spettatore rischia di perdersi dentro un film che è troppo freddo per coinvolgere e troppo conforme alle regole del moderno kolossal per suscitare stupore. Certo, rispetto a un comune film commerciale il ritmo è più cadenzato e riflessivo, la cura delle scene e della credibilità è maggiore, si sentono lo studio e l’interesse verso un certo tipo di folklore, le sequenze di azione e violenza sono realizzate con una tecnica diversa per scelte di regia e impostazione estetica; resta però difficile appassionarsi a questa visione del passato che non è mai realmente personale o originale, tanto quanto è arduo palpitare per storie d’amore e odio verso cui non c’è mai empatia e dedizione. Ci sono lo scheletro e gli elementi potenziali del grande film vichingo che sarebbe potuto essere, latitano i muscoli, latita la passione, l’epica; persino la metafisica che incombe nel rapporto dei personaggi con dei e visioni pare uscita da un maldestro trip. Ci sono le immagini, di rado le sensazioni che dovrebbero suscitare.
Pare che ci siano stati parecchi problemi e incomprensioni nella realizzazione del film, raccontati da un interessante articolo del New Yorker, resta però l’impressione che The Northman sia stato concepito da Eggers per ingraziarsi il pubblico, per poter lavorare a progetti a budget più ampio (come il prossimo Nosferatu), per soddisfare un’ambizione e contemporaneamente accreditarsi presso le major o gli studios più importanti. Pare un biglietto da visita più che un’opera vera e propria: non proprio ciò che una prova del fuoco dovrebbe dimostrare.