Mi ricordo del cinema
All’interno della settima edizione del Festival Internazionale di Cortometraggi, Documentari e Sceneggiature, che ha come cornice suggestiva i borghi e i vicoli di Revine Lago, piccolo comune in provincia di Treviso, è stato proiettato, nella sezione extrafest, il documentario di Davide Rizzo, Old Cinema – Bologna Melodramma.
Protagonista è appunto la città di Bologna, amica e amante del cinema, percorsa alla ricerca dei vecchi luoghi che ospitavano la settima arte, tra testimonianze e aneddoti di chi il cinema lo ha assiduamente seguito, pronto a dare il proprio giudizio con disinvolta sincerità. Interviste a persone, anziane solo sulla carta, che ricordano il loro film del cuore, le sensazioni che il grande schermo produceva nei loro cuori, i nomi degli interpreti e i titoli delle pellicole, con sorprendente nitidezza e precisione. A essere raccontato è il cinema di una volta, quello prima della televisione, quando si vendevano mille biglietti per una sala di settecento posti, e tutti entravano nonostante il rumore, il fumo delle sigarette e le palpate sul sedere alle ragazze. Inchiodati alle sedie o in piedi per vedere l’ultimo western o ridere con una comica di Stanlio e Ollio, si rimaneva in sala tutto il pomeriggio, per due o tre spettacoli consecutivi, approfittando per stare al caldo ma soprattutto per evadere dalla realtà quotidiana e regalarsi il lusso di dimenticare le preoccupazioni della vita. Grande entusiasmo dopo la liberazione, quando arriva l’America con nuova linfa per i cinema, portando titoli come Via col vento, Cantando sotto la pioggia, i musical di Fred Astaire, riattivando una passione mai dimenticata, sopita e nascosta durante la guerra. La macchina da presa viaggia in lungo e in largo per Bologna, accompagnandoci a scoprire i vecchi luoghi dove sorgevano i cinema, ormai abbandonati o rimpiazzati da altre costruzioni: dal Principe Amedeo, il cinema della classe più bassa, al Cinema Eden, che univa proiezione e avanspettacolo, fino al Cinema Star, il primo cinema all’aperto, costantemente gremito di gente. Il tutto è raccontato attraverso una narrazione non intrusiva, che lascia completamente lo spazio alle persone e alle loro parole, alle vite catturate dall’obbiettivo nella loro autenticità, sorridendo per eventuali errori o termini dialettali che si insinuano nelle riflessioni. Spazio ai luoghi, alla magia che ancora sanno trasmettere, intaccata solo parzialmente dalla malinconia del ricordo di un tempo che sarà impossibile ricreare. Le ultime parole sono riservate al cinema del futuro: alcuni pessimisti, altri più speranzosi, comunque rassegnati alla realtà di un cinema rivoluzionato in ogni sua parte, che non risponde più unicamente all’esigenza di passare delle ore insieme solo per la passione di perdersi in un’illusione mentre si sgranocchiano caramelle e “brustulein”. Tra la televisione, i nuovi multisala e l’invasione degli effetti speciali, il cinema diventa un’arte individuale, più spettacolare e impegnato nei temi e nei soggetti proposti. C’è da riflettere su quanto detto, non solamente sorriderne, perché rappresenta un mondo sconosciuto ai giovani, dimenticato dagli altri, ma che varrebbe la pena di ricostruire, per capire il vero motivo per cui si entrava in sala di nascosto perché non c’erano soldi: nessuna bravata, solo passione.