“Il mondiale del 1942 non figura in nessun libro di storia, ma si giocò nella Patagonia…”
Tra i meandri della Storia, nelle attività più quotidiane e popolari, la leggenda e l’epica si possono nascondere in piccoli fatti, soprattutto in quei luoghi al confine dello spazio e del tempo; qui briciole di verità e fantasiose ricostruzioni si confondono e si uniscono nell’incessante lavoro della fantasia e della rielaborazione, diventando “più vere del vero”.
La storia ufficiale vuole che i mondiali di calcio del 1942 e del 1946 non si siano tenuti, causa conflitto mondiale; leggenda vuole che invece nel 1942 nelle lande della Patagonia si sia svolta un’edizione non riconosciuta dalla FIFA e non ricordata negli albi d’oro; a fronteggiarsi c’erano squadre di emigrati europei, di Indios locali, di nazisti tedeschi in spedizione, di acrobati da circo. Tutto ideato e organizzato dallo stravagante e idealista conte Otz. Le partite si svolgevano nei pressi di un’enorme diga in costruzione, e arbitrare era compito del figlio di Butch Cassidy, il quale in caso di proteste eccessive o di espulsioni usava l’efficace metodo di tirare fuori il revolver e sparare in aria. A documentare il tutto, le immagini immortalate da Guilliermo Sandrini, cineoperatore con il gusto di inventare, il cui scheletro è stato trovato con accanto la cinepresa subacquea che immortalò le immagini della finale. Guardando Il mundial dimenticato di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni a lungo rimane il dubbio: si sta assistendo ad un vero documentario (per più di tre quarti il film sembra costruito come un reportage di Sfide), o a un Mockumentary? Non a caso l’ispirazione viene da un bel racconto (Il figlio di Butch Cassidy, contenuto nella raccolta Pensare con i piedi, edita da Einaudi, ma ci sono riferimenti anche ad altri racconti dello scrittore) di Osvaldo Soriano, il geniale scrittore argentino che ha mischiato nelle sue opere il vero con lo stravagante, il plausibile con il mito, la quotidianità con la leggenda, e che ha conferito senso della Storia e caratura mitologica a vicende e passioni popolari (soprattutto il calcio, sua passione, ma lo ha fatto anche con il cinema nello struggente capolavoro Triste y solitario final).
Nel film di Garzella e Macelloni convergono temi seri e reali, come l’importanza fondamentale delle comunità di immigrati, in primo luogo italiane, in Argentina e la loro coesione e il senso di appartenenza, o come il rapporto degli Indios originari con i nuovi arrivati europei, e la convivenza più o meno forzata. Ci sono anche echi più vasti: dal conflitto mondiale e la tracotanza nazista, fino alla fine dei valori di un mondo su cui la seconda guerra mondiale stava chiudendo il sipario. Questi riferimenti, raffinatissimi e molteplici, sono contenuti nella stravagante cornice del fantomatico mondiale, delle sue curiose partite e dei suoi particolari protagonisti; l’atmosfera è divertita e divertente, ma allo stesso tempo attraversata da quel senso di “nostalgia epica” tipico delle narrazioni quando affrontano e trasfigurano la Storia: proprio come in Soriano, o come in Hugo Pratt (anche lui scrisse storie ambientate in Patagonia); magari c’è poco di vero, ma tutto è reale.