SPECIALE ORIENTE A HOLLYWOOD
Quel maledetto treno blindato
Bong Joon-ho sprofonda l’intera umanità in una nuova era glaciale, intrecciando distopia cyberpunk e fantascienza post-apocalittica. Fin dagli esordi ha esplorato mondi nerissimi e dissacranti, facendo affiorare memorie post-belliche di una società che non conosce redenzione.
Nel caso di Memories of Murder era il regime militare coreano di Gyeonggi, che ritorna nell’incarnazione mostruosa dello spettro fascista in The Host e poi in Mother, dietro il mascheramento edipico del rapporto madre-figlio. Un percorso circolare in cui il regista sud coreano, abile manipolatore di generi, fonda l’azione individuale su scenari di ecosistemi impazziti e governi fuori controllo, riflettendo sulle contraddizioni dei rapporti umani e sulle idiosincrasie delle moderne civiltà. Al suo esordio in una co-produzione statunitense, diversamente dal manierismo sempre più accentuato del Park Chan-wook hollywoodiano, ingaggia un cast stellare (Chris Evans, John Hurt, Song Kang-ho, Tilda Swinton, Ed Harris) e crea una moderna parabola sulla lotta di classe, trasponendo sullo schermo il fumetto francese Le Transperceneige. Nel 2031 l’umanità si è estinta a causa di una glaciazione globale e i superstiti viaggiano su un treno autoalimentato che percorre l’intero mondo conosciuto senza sosta. Nelle vetture di coda ci sono i miserabili, in quelle di testa i benestanti. Capeggiati dal rivoluzionario Curtis, un gruppo di rivoltosi cerca di occupare le vetture altolocate e arrivare al sommo demiurgo a guida del treno, il luciferino Wilford. Dal montaggio alternato dei primi corti, il regista ci trasporta nello spazio claustrofobico del “treno blindato” attraverso danze mortifere (memorabili sequenze di lotte a colpi di asce e incudini al ralenti) e violenza convulsiva, insistendo sulla stilizzazione del dettaglio. Visi sporchi e braccia mozzate sono catturati dai primi piani, tra gli squarci di luce e la penombra dei vagoni e rischiarati dall’esangue fotografia che insiste sull’alterazione corporale. Un capolavoro estetizzante in cui il microcosmo umano è intrappolato nel corpo-ingranaggio asfittico della macchina, non-luogo in cui si consuma la cruenta carneficina per la scalata sociale. In un inferno delocalizzato la logica del compromesso lascia il posto alla brutalità della guerriglia, man mano che i ribelli avanzano verso la testa del convoglio, trovandosi di fronte marionette ammaestrate dal potere, tossici violenti e bambini indottrinati da sermoni messianici. Dopo essere stato profeta in patria, Bong Joon-ho svetta sulle ceneri di un’umanità anestetizzata, toccando l’universalismo filosofico della rivolta e le distopie proteiformi dell’unica, globale società deumanizzante. Sarà il nuovo Blade Runner (?).
Snowpiercer [Seolguk-yeolcha, Corea del Sud/USA/Francia 2013] REGIA Bong Joon-ho.
CAST Chris Evans, Song Kang-ho, John Hurt, Ed Harris, Tilda Swinton, Jamie Bell.
SCENEGGIATURA Bong Joon-ho, Kelly Masterson. FOTOGRAFIA Hong Kyung-pyo. MUSICHE Marco Beltrami.
Azione, durata 125 minuti.