Piccole transgender crescono
In concorso al 26° Torino GLBT Film Festival, dove si è aggiudicato sia il Premio Ottavio Mai che il Premio del Pubblico, Tomboy, già vincitore del Teddy Award all’ultimo Festival di Berlino, racconta con grande tatto, semplicità e acuta ironia una storia di ricerca e costruzione dell’identità di genere durante l’infanzia.
In inglese “tomboy” significa maschiaccio e la piccola Laure (Zoé Héran), 10 anni, lo è: ha i capelli corti, indossa sempre pantaloncini e t-shirt o canottiera e a differenza delle sue coetanee preferisce giocare a calcio e fare a botte con i maschi anziché truccarsi di nascosto. Il trasferimento con la famiglia in un nuovo quartiere dove non conosce nessuno diventa presto l’occasione per costruirsi una nuova, fittizia identità maschile. Quando conosce Lisa, una bambina della sua età, viene infatti scambiata per un maschio e così Laure decide di presentarsi a tutti come Mikaël. Trascorrerà l’estate insieme alla piccola e buffa tribù composta dagli altri bambini, figli dei suoi nuovi vicini di casa, ma quando l’inizio della scuola si avvicina la sua vera identità rischia di essere svelata…
Una tematica decisamente delicata e importante quella dell’identità di genere durante l’infanzia, fino ad ora poco mostrata e raccontata al cinema (giusto e doveroso ricordare a questo proposito almeno il bel film del regista belga Alain Berliner, La mia vita in rosa, vincitore del Golden Globe come miglior film straniero nel 1998) forse proprio per la sua intrinseca scomodità, affrontata in questo caso con sorprendente intelligenza e sensibilità. Lo sguardo della giovane regista e sceneggiatrice Céline Sciamma è decisamente lucido, attento, complice, propositivo, mai giudicante. Nonostante la suspense per la scoperta della vera identità di Laure attraversi tutta la pellicola, la tensione drammatica viene stemperata e addolcita da spassosi momenti di ilarità e un finale aperto decisamente positivo.
Sciamma ha saputo evitare le facili trappole della ruffianeria, facile e un po’ scontata, tipica di molti film sull’infanzia. Le piccole protagoniste di Tomboy colpiscono per bravura, intensità e simpatia, la macchina da presa scruta i loro corpi, in particolare quello di Laure (memorabile la sequenza in cui, dovendo indossare un costume da bagno maschile, si fabbrica un piccolo pene con il pongo), senza però essere mai esibite come piccole scimmiette ammaestrate. In particolare Mallon Lévana, che interpreta la sorella minore di Laura, Jeanne, diventa presto la vera mascotte del film. Tomboy è infatti anche una toccante storia di affetto e complicità familiare. Il padre di Laure non solo non osteggia la sua natura mascolina ma la asseconda affettuosamente, insegnandole a giocare a poker e a guidare l’auto, mentre la sorellina Jeanne la copre e la spalleggia con irresistibile ironia, a patto di poter giocare anche lei con i suoi amici. L’unica ad avere una posizione un po’ più severa e leggermente ambigua è la madre che vorrebbe vedere Laure fare amicizia e giocare insieme ad altre bambine.
Forse nel nostro Paese Tomboy non riuscirà a raggiungere gli stessi risultati ottenuti in Francia, dove è stato visto da oltre oltre 260.000 spettatori, ma ha tutte le carte in regola per diventare un piccolo caso cinematografico. E noi glielo auguriamo di tutto cuore!