Il cinema “di scopo”
In periodo di elezioni si sente spesso parlare di governo di scopo. Ossia un governo formato per un motivo preciso, per un obiettivo, per una o poche leggi specifiche. Ma esiste anche il cinema di scopo, che ha un obiettivo un po’ diverso dal racconto di una storia o dalla creazione di un mondo artistico.
Nome di donna, il nuovo film di Marco Tullio Giordana, è un film di scopo, ancora più basica come forma filmica rispetto al cinema civile da lui sempre predicato e che comunque gli ha dato la possibilità di creare attraverso le forme del mélo familiare un capolavoro come La meglio gioventù. Lo scopo del film, scritto da Giordana con Cristiana Mainardi, è una chiamata all’azione per le donne vittime di molestie sul luogo di lavoro che non riescono ad avere giustizie, che hanno paura di denunciare: ispirato a una storia vera, racconta di Nina, ragazza madre che viene assunta in una casa di cura per anziani in cui il direttore ha il vizio di provarci con le inservienti e le infermiere in cambio di favori (e di silenzio). Ma Nina non ci sta e la sua battaglia legale sarà lunga e logorante. Non vuole solo illustrare un fatto di cronaca o descrivere una situazione che, la ribalta mediatica lo attesta, è decisamente attuale; Nome di donna vuole parlare direttamente alle destinatarie del film: le donne (l’uscita dell’8 marzo è sintomatica). E lo fa con la forma più lineare possibile: un racconto semplice e diretto, con personaggi buoni o cattivi e in cui i possibili chiaroscuri del racconto servono alla causa, temi e struttura lisci e funzionali, confezione chiara come la narrazione, senza digressioni o sfumature stilistiche – si vedano la fotografia o le musiche e il loro utilizzo, sempre didascalico: definiamolo volendo para-televisivo, visto che la sua stessa impostazione ideologica lo rende più adatto al piccolo che al grande schermo, salvo poi accorgersi che tanto la tv (Un giorno in pretura per esempio) quanto la realtà (l’interrogatorio dei difensori dei carabinieri accusati di stupro alle due ragazze accusatrici e vittime) hanno superato per impatto e precisione gli intenti del film. Ma ciò che fa propendere per una sostanziale difesa del film, consci dei suoi enormi limiti in buona parte previsti già in sede di concezione, è la sua onestà e sincerità, la sua dichiarata adesione a un manifesto, a uno scopo appunto a cui “sacrificare” quasi tutto. Giordana fa una scelta di campo e gli va riconosciuto almeno l’onore delle armi.
Nome di donna [Italia 2018] REGIA Marco Tullio Giordana.
CAST Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Michela Cescon, Adriana Asti.
SCENEGGIATURA Marco Tullio Giordana, Cristiana Mainardi. FOTOGRAFIA Vincenzo Carpineta. MUSICHE Dario Marianelli.
Drammatico, durata 90 minuti.