Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura Cinematografica, Gorizia, 19-28 luglio 2012
Quando un’amicizia diventa poesia
Stefania e Giacomo. Lui sordo fin dalla nascita, lei timida e chiusa. Un’amicizia di vecchia data. Crescere insieme e scoprirsi, a poco a poco, scoprire il corpo dell’altro, le forme e l’odore. Una giornata d’estate da vivere con qualcuno di cui ti fidi, con qualcuno con cui puoi essere sbagliato e impaurito.
Questo racconta L’estate di Giacomo, e molto altro. Il film di Alessandro Comodin è stato proiettato durante il 31° Premio Amidei: quasi un paradosso dal momento che, come racconta lui stesso, “nel mio film in realtà non c’è una vera e propria sceneggiatura”. Fin da subito capiamo che nel film c’è qualcosa di speciale, non è il “classico” lavoro sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta, è molto di più, a metà tra documentario e fiction – “Ne L’estate di Giacomo c’è sia il documentario che la finzione” – tra reale e fiabesco. Quando incontriamo Alessandro, Stefania Comodin e Giacomo Zulian abbiamo la sensazione di conoscerli da sempre, che il loro sia un film pieno in tutti i sensi, di rumori e di emozioni, nuove e meravigliose. “L’idea è nata da Giacomo nel 2008 quando doveva sostenere un intervento importante, un impianto cocleare. Mi sembrava importante questo parallelo, tra queste due esperienze che l’avrebbero cambiato: sentire per la prima volta e avere diciotto anni”: così è incominciata la storia di questa estate che poi nel corso del tempo e della lavorazione è diventato non tanto un “film di Giacomo ma con Giacomo”. “Abbiamo lavorato a lungo assieme, si sono create le condizioni necessarie per fare un buon lavoro”, dice Comodin – che manifesta, nel dialogo con il pubblico, la stessa delicatezza e “eleganza emotiva” dimostrata nel suo film – e questo lo si vede e lo si percepisce dalla naturalezza e dalla genuinità con cui i giovanissimi protagonisti interpretano/vivono i loro personaggi. Entrambi sostengono che “all’inizio è stato difficile ma poi ci siamo dimenticati” della presenza della telecamera. “È nato naturale. Io ho recitato me stesso. È stato difficile all’inizio ma poi è diventato tutto più facile”, racconta Giacomo, mentre a Stefania pare strano rivedersi sul grande schermo, e di come “la Stefania che è nel film è un’altra persona, ma chi è quella in bici? No, non sono io”. Il rapporto tra noi e loro s’instaura e si consolida a poco a poco, li pediniamo, li seguiamo – “li stavamo seguendo e noi non sapevamo dove stavamo andando, erano loro che mi portavano verso una storia e voi spettatori dovevate essere insieme a me”, racconta Alessandro – e ad ogni passo sentiamo la “sgradevolezza della perdita”, siamo immersi in un altrove che prima d’ora non avevamo mai visto, ed è proprio a questo che puntava Comodin (“lo spettatore doveva sentirsi perso, ma perso per davvero”). La forza genuina di Giacomo e Stefania è tanto dirompente, disarmante e coinvolgente quanto lo stesso film, ciò che innesca è affascinante e magico: lo spettatore si perde nei giochi marini dei due amici/innamorati, ha fiducia in loro, crede a ciò che vede, partecipa alla scoperta fisica ed emotiva dei due giovani, condividendo il piacere provato dai due ragazzi, ma anche alla paura di perdersi per poi ritrovarsi, cambiati. Tra risate, carezze, scherzi, L’estate di Giacomo ci penetra dentro, diffondendosi in noi, e ci sentiamo così, un po’ innamorati, e un po’ meno soli.