35. Premio “Sergio Amidei”, 14-20 luglio 2016, Gorizia
Il nero della pellicola
Ousmane Sembène è il pioniere del cinema subsahariano. È uno scrittore affermato quando, a quarantun’anni, si rende conto che, in un paese con livelli altissimi di analfabetismo, la letteratura può influire ben poco sulle persone, mentre il cinema è come una “scuola serale” cui tutti possono accedere. Va quindi a studiare cinema al VGIK di Mosca e, ritornato in Senegal, nel 1963 gira Borom Sarret e tre anni più tardi La noire de… sarà il primo lungometraggio dell’Africa subsahariana.
Il cinema di Sembène si presenta sin da subito fortemente politico ma non ideologico. Non espone idee bensì mette in scena storie esemplari come sequenze di cause ed effetti, tutte volte a mostrare l’identità intimamente colonizzata del suo popolo, che solo da qualche anno è diventato indipendente dalla Francia. Ma l’Occidente è onnipresente e soffocante, eppure è sempre altrove, oltre la finestra, oltre il confine consentito ai carri, è una dimensione invalicabile, aliena, altra. Non appena un uomo africano varca la soglia perde qualcosa di sé, ora un carretto, ora la vita stessa, e non si riconosce in nulla, i palazzi sono muri altissimi, le strade sono labirinti, il semaforo rosso è il freno ad ogni libertà, è la vita moderna stessa. Sembène, con una consapevolezza del mezzo-cinema tutta russa, usa il bianco e nero della sua pellicola per mettere in scena il difficile dialogo tra mondo bianco e mondo nero, raggiungendo un sublime cinematografico raramente così esplicito. Gli abiti di Diouana, la protagonista di La nera di… fanno la storia del film: all’arrivo in Francia è bianco e vistoso, c’è volontà di identificarsi, di far parte del mondo bianco; nel flashback, nel villaggio da cui è partita, l’abito è scuro come un’identità ancora non contaminata, puramente nera; quando Diouana prende coscienza del ruolo subordinato che le viene assegnato come unico possibile, l’abito si ingrigisce fino a che, ribelle, si mostra nuda e libera, con i capelli non più compiacenti e lisci, ma crespi e intrecciati. Una volta esoneratasi dal ruolo di serva, nell’abito il bianco ed il nero si equivalgono, ma in sezioni ben distinte: ognuno è nel suo spazio, ognuno col suo mondo. La veste leggera indossata prima di uccidersi è completamente bianca, ma è come una vecchia pelle ormai estromessa dal proprio sé, come una speranza svanita, verso una morte che è segno purissimo di vita. Il confine è espresso anche in musica: la musica tradizionale nel villaggio e nei pensieri dei protagonisti, la musica da camera in città e nel salotto borghese. Eppure il bisogno di Francia permane, come per manifesta incapacità di autonomia, e pervade la cinematografia senegalese a venire, basti citare Touki Bouki di Mambéty. È una nostalgia inconscia che Sembène identifica con la fatalità della sottomissione. Ma un popolo cosciente di sé reagisce come Diouana, che suicidandosi e negando sé stessa nega l’esistenza di un possibile nuovo colonialismo, stavolta psicologico.
Borom Sarret [id., Senegal 1963] REGIA Ousmane Sembène.
CAST Ly abdoulay, Albourah.
SCENEGGIATURA Ousmane Sembène. FOTOGRAFIA Christian Lacoste.
Drammatico, durata 20 minuti.
La nera di… [La noire de…, Senegal/Francia 1966] REGIA Ousmane Sembène.
CAST Mbissine Thérèse Diop, Anne-Marie Jelinek, Robert Fontaine, Momar Nar Sene.
SCENEGGIATURA Ousmane Sembène. FOTOGRAFIA Christian Lacoste.
Drammatico, durata 60 minuti.