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Il nemico invisibile

sabato 11 Luglio, 2015 | di Andrea Moschioni Fioretti
Il nemico invisibile
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Un uomo arreso
Il cinema americano torna spesso a dialogare con il passato, anche recente, più di quanto lo faccia per esempio il nostro, affrontando ferite e incubi indelebili: Il nemico invisibile di Paul Schrader ne è un esempio.

Evan Lake (Nicolas Cage) è un agente della CIA che accusa i primi sintomi di una demenza senile precoce: per questo viene allontanato dal suo incarico, e questa sarà l’occasione per ripensare al passato e all’uomo che ha tormentato per anni i suoi incubi, ovvero il jihadista Banir. Banir non è morto, come invece Lake aveva sempre pensato, ma si nasconde afflitto da una mediacritica_dying_of_the_light1malattia incurabile… e da qui inizia la vendetta. Schrader, cantore del marcio della società americana fin dai suoi esordi, dopo il semi-flop di The Canyons, con Dying of the Light riesce a fare peggio. C’è da sottolineare che manca il director’s cut e la performance di Cage non aiuta, ma la pellicola risulta confusa e banalmente prevedibile, nonostante la produzione firmata Nicolas Winding Refn. Il viaggio allucinato nella mente che si rifiuta di dimenticare, perché obbligata dalla malattia, aveva un grosso potenziale ridotto purtroppo alla messa in scena di un thriller innocuo e che sa di già visto. Attraverso il suo protagonista è come se Schrader proiettasse la sua condizione artistica: un uomo una volta prolifico e influente, ridotto oggi a combattere con un passato ingombrante per dimostrare di valere ancora qualcosa. Una crisi creativa dichiarata e denunciata. E così potrebbe essere per Cage, che si dà anima e corpo per interpretare al meglio la rovina del personaggio, invano. Si fa fatica a credere al suo Lake, invecchiato male dal makeup e stereotipato nelle sue movenze quasi grottesche. Tematiche come l’importanza del passato e la denuncia della malattia come cancro che annienta l’individuo si perdono nella convenzionalità di una pellicola action prosaica priva di una certa poetica autoriale. Sono lontani anni luce il cinismo di American Gigolò o la dissolutezza di Cortesie per gli ospiti: la regia sembra aver perso la rabbia e la solidità di un tempo, in favore di un’estetica televisiva nel senso peggiore del termine. Un’America che ha perso i suoi valori, le istituzioni che vengono meno nella confusione generale dei nostri tempi, l’uomo ridotto a subire senza poter reagire. Manca una vera riflessione, anche se è nobile l’intento di ragionare sul terrorismo e le vittime che chiedono vendetta. Quando nel finale arriva la resa dei conti, tutto ciò svanisce in pochi minuti in una sequenza senza pathos e tensione. L’unica “tensione” che accompagna la visione dello spettatore è capire fino a che punto arriverà la crisi di Schrader e cosa sarebbe potuto essere Il nemico invisibile solo una decina d’anni fa. Che tristezza…

Il nemico invisibile [Dying of the Light, USA 2015] REGIA Paul Schrader.
CAST Nicolas Cage, Anton Yelchin, Alexander Karim, Irène Jacob.
SCENEGGIATURA Paul Schrader. FOTOGRAFIA Gabriel Kosuth.
Thriller, durata 94 minuti.

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