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Klitschko

lunedì 2 Luglio, 2012 | di Leonardo Cabrini
Klitschko
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Si tratti di realtà o finzione, una delle ragioni per cui cinema e boxe rappresentano, sovente, un connubio vincente, riguarda il fascino delle biografie dei pugili stessi. Trovandosi a lottare nella vita come sul ring, spesso il boxeur proviene da situazioni difficili, ghetti, sobborghi, galere, riflettendo il proprio disagio nella spettacolarizzazione dello sport che la nobile arte permette, incoraggia, promuove.

Non che ai fratelli Klitschko venga a mancare la propensione alla lotta nella loro vita, specie se si pensa alla condizione politica e sociale della nazione da cui provengono (l’Ucraina), tuttavia il fascino della loro storia è determinato da fattori totalmente diversi rispetto a quella dei protagonisti di Lassù qualcuno mi ama, di Toro scatenato, della saga di Rocky o di The Fighter. Il film di Sebastian Dehnhardt ci racconta, anzitutto, la storia di un amore fraterno. Vitali e Wladimir Klitschko hanno cinque anni di differenza e vivono una realtà di transizione politica tra egemonia e crollo dell’Unione Sovietica. Attratti da ciò che fino a poco tempo prima era proibito, i due decidono di intraprendere la carriera di kickboxers prima e, in seguito, di pugili. Entrambi alti, possenti e difficilmente distinguibili, sviluppano una boxe totalmente diversa: se Vitali è “di roccia”, duro, cocciuto con uno stile personale ed imprevedibile, Wladimir è “di argilla”, più malleabile, più tradizionale. Inutile dire che i due fratelli si compensano a vicenda e lavorando all’unisono come uno ying e uno yang, condividono vittorie, sconfitte, battaglie politiche (Vitali si candida sindaco di Kiev nelle file di un partito anti-corruzione) camminando di pari passo senza mai scontrarsi. Un docufilm tutto sommato tradizionale che, utilizzando un ampio spettro di codici disponibili, tra il ricorso ad interviste, immagini di repertorio e filmati familiari, riesce a organizzare sapientemente il dramma delle situazioni narrate, lavorando con molta parsimonia sui climax, specialmente nella rappresentazione degli incontri disputati dai protagonisti. Un tradizionalismo necessario, che si fa servo di un controcanto reale già di per sé parecchio inusuale e che, vistane la condizione ancora in fieri, si spera continui ancora per molto.

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