Tra il desiderio di andare e “il richiamo di questo paese immutabile”
A partire dal progetto Sorelle, realizzato nel 2006 con la collaborazione dei partecipanti ai laboratori “Fare cinema”, nasce Sorelle Mai, sei episodi complessivamente girati tra il 1999 e il 2008 nella casa della famiglia Bellocchio a Bobbio.
Gli interpreti sono i familiari – già visti in altri film del regista – dai lineamenti simili che cambiano e invecchiano lasciando un particolare senso di straniamento. Elena ha cinque anni all’inizio e quattordici alla fine; al suo fianco le anziane zie, le sorelle Mai, che la ospitano, mentre la mamma, Sara (Donatella Finocchiaro, unica non di famiglia assieme all’amico-custode Gianni Schicchi), cerca di fare l’attrice a Milano e mentre lo zio giovane, Giorgio, va e viene perso nelle sue insicurezze.
Se in Vincere la Storia collettiva si manifestava anche nei materiali d’archivio, qui è la storia personale che traspare sottoforma di film di famiglia; il vero e il falso si confondono, oltre che nei volti, nei dialoghi e nei comportamenti. Il passato ha la forma de I pugni in tasca, attraverso cui si rievoca l’altra madre, la matriarca, ingombrante termine di paragone per Sara e la sua perenne assenza. Il passare del tempo si oppone all’immutabilità di Bobbio e della casa con le sue abitanti, contrasto sottolineato dalla ricorrenza di temi e situazioni: la morte e l’amore, gli oggetti e gli appartamenti che passano di mano in mano. Un’immobilità che respinge ed attrae contemporaneamente, ma che sembra l’unica circostanza possibile per riappacificarsi e per ricominciare (o finire definitivamente), di fronte allo scorrere delle acque del Trebbia.
Un’operazione di questo tipo, produttivamente interessante e volutamente imperfetta, corre il rischio di subordinare il racconto all’idea, e il film lo evita solo parzialmente. Le parti più riuscite sono quelle da cui emerge la personalità dei personaggi: quando sono soli, e quando si confrontano con Elena o con le acque del Trebbia; però i personaggi secondari (la professoressa Alba Rohrwacher, o l’innamorata bobbiese di Giorgio) stridono al confronto con la complicità tra i protagonisti; e più deboli risultano i passaggi finali, quelli in cui, nonostante l’intensificarsi dell’azione, si sfiora di più l’esercizio di stile.