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La chiave di Sara

lunedì 16 Gennaio, 2012 | di Margherita Merlo
La chiave di Sara
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L’insostenibile pesantezza dei rimorsi
Una storia, qualsiasi storia, racchiude in sé un universo, legato al mondo contingente ma allo stesso tempo destinato ad esserne staccato: una può entrare in collisione con un’altra, fondendosi ma mantenendo sempre una certa indipendenza di fondo.

Ne La chiave di Sara, le storie che vanno ad amalgamarsi sono tre: Julia, giornalista americana trapiantata in Francia per amore, cerca di ricostruire la vita di Sarah, una bambina ebrea che nel 1942 viene chiusa nel Vélodrome d’Hiver insieme alla sua famiglia e altri decine di migliaia di persone, destinazione finale i campi di lavoro. Ad avvolgere entrambe la Storia vera e propria, qui in una delle sue pagine più disumane e ignobili, che di norma richiederebbe completa dedizione. Qui invece dev’essere divisa con le altre due, andando a ricoprire il ruolo di aura, una parentesi per una pellicola che, senza esplicitare appieno la drammatica deportazione degli ebrei, cerca di analizzarla dal punto di vista di una bambina sfuggita ai campi ma non ai suoi orrori. A sua volta il tutto si complica a causa dell’ulteriore gradino da superare per lo spettatore, cioè l’analisi a posteriori con la coscienza del presente fatta da una giornalista che aggiunge complessità e problemi propri ad una vicenda già ricca di per sé. Fortunatamente non si cade nell’eccesso sentimentalismo stucchevole che caratterizza il recente Vento di primavera, ma si è anche lontani anni luce dall’ironia scanzonata di Train de vie: di fondo potrebbe dare l’idea di freddezza, dal trattamento in terza persona della vita di Sarah fino alla fotografia che caratterizza l’epoca presente, così asettica e rigida. Ma l’analisi della storia di una ragazzina, che poi cresce e diventa donna sposta il baricentro sulle persone, divenendo profonda e tentando di sviscerare i loro più intimi segreti, le loro paure e soprattutto il passato che sembra così presente nel legame che li unisce tutti. La precisione di attori navigati riesce a mantenere viva la narrazione quando rischia l’inevitabile crollo, con la bella sorpresa di una giovane promessa dai grandi occhi blu nei quali si legge la forza che caratterizza il suo personaggio. Quest’ultimo è in assoluto quello che più rimane impresso nella mente, interessante sia come costruzione che come personalità, e soprattutto come evoluzione futura, così inaspettata e talmente vera da non cadere nel patetismo ma in una pervasiva ed immensa tristezza.

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