SPECIALE VENEZIA 74
Candeggina sull’America
Scritto con Grant Heslov, a partire da una vecchia sceneggiatura dei fratelli Coen, Suburbicon non soffre particolarmente questi rimaneggiamenti. E se Clooney non riesce proprio a evitare di concludere il film con un’immagine di speranza, dei Coen l’attore e regista americano conserva almeno il gusto tutto anni Ottanta per una rappresentazione disinvolta e distaccata della violenza.
L’apporto principale di Clooney allo script consiste nell’allargare e ideologizzare il punto di vista sul mondo finzionale, attraverso un parallelismo tra l’iniziale nucleo di vicende sanguinose che colpiscono la famiglia wasp, guidata dal perfido Matt Damon, e i disordini razziali di cui sono vittime gli afroamericani Myers. In questo modo, la città immacolata e utopica da cui prende il titolo al film – fondata nel 1947, 60.000 abitanti, senza traffico, dipinta di colori pastello – si rivela ancor di più marcia e corrotta. A livello di focalizzazione, la maggior parte degli eventi è filtrata dallo sguardo innocente del piccolo Nicky, che è spesso in primo piano e regge inquadrature soggettive: ciò conferisce maggiore risalto e intensità alle azioni cruente dei personaggi. Se il film fosse stato diretto dai Coen, il tono sarebbe stato più grottesco e l’umorismo più raffinato e cattivo, ma chi ha avuto la sventura di vivere in prima persona un lutto grave sorriderà amaramente nelle scene in cui Damon riceve una serie di maldestre condoglianze, alla morte della moglie. L’empatia nei confronti del personaggio del vedovo svanisce quando si scopre che i sentimenti di costui per la consorte sono paragonabili a quelli del marito di Fargo. Il citazionismo e il manierismo del film, grazie anche alle musiche da cinema classico di Desplat, omaggia più volte Hitchcock: Julianne Moore, come una Novak vertiginosa, è duplice oggetto del desiderio, dando il volto sia alla vittima, sia alla sorella gemella. L’investigatore, a sorpresa, fa più o meno la stessa fine di Arbogast in Psyco. E c’è pure un bicchiere avvelenato, come ne Il sospetto. Senza contare uno strangolamento alla Frenzy. Non crediamo, inoltre, di essere gli unici ad aver pensato, nella scena della lampada che oscilla sul volto dei balordi, all’alternanza di luce e ombra di uno dei tanti momenti memorabili di un altro, seminale, film sull’ipocrisia dei piccoli centri urbani, Il corvo di Clouzot. Nel panorama cinematografico statunitense degli ultimi mesi, sempre più politico nelle storie, in cui tematiche ambientaliste, istanze antitrumpiane e denunce contro il razzismo abbondano, il liberal Clooney dà il suo apprezzabile contributo, non rinunciando alla solita (e solida) trasparenza neoclassica di regia e confermandosi onestissimo artigiano della macchina da presa.
Suburbicon [Id., USA 2017] REGIA George Clooney.
CAST Matt Damon, Julianne Moore, Oscar Isaac, Glenn Fleshler, Diane Dehn.
SCENEGGIATURA Joel Coen, Ethan Coen, George Clooney, Grant Heslov. FOTOGRAFIA Robert Elswit. MUSICHE Alexandre Desplat.
Drammatico/Commedia/Giallo, durata 104 minuti.