SPECIALE TIM BURTON
“Che occhi grandi che hai”, “Sono lo specchio dell’anima”
Tim Burton, cantore della diversità e dell’autodeterminazione, ha raccontato favole nere, storie cupe di freak, umani troppo umani, lontani dai “colori” e dalla “norma”.
Il cineasta è l’aedo delle vite perse in partenza, demiurgo e filatore delle trame della nostra anima, pronta a trovare in quei personaggi il suo stesso disagio. Abbiamo percepito ai polsi le mani di forbice di Edward, protesi di dolorosa tristezza, lo spleen rabbioso di La sposa cadavere e così via. E ora, dopo Frankenweenie e Dark Shadows, l’autore torna al cinema con Big Eyes mettendo in scena una delle più grandi frodi dell’arte contemporanea, quella del diabolico Walter Keane/Christoph Waltz ai danni della moglie Margaret Keane/Amy Adams. È difficile essere artista per una donna, separata dal primo marito, con una figlia, nell’America anni ’50/’60, è più “normale” pensare che il padre di quei bambini da crepacuore sia proprio Walter Keane e non la consorte. Si intrecciano quindi due linee di lettura all’interno di questa “luminosa” e “accecante” opera: da una parte la questione sul “bello” e sull’arte (fa eco la questione dell’unicità, dell’autorità e dell’autenticità teorizzata da Walter Benjamin), dall’altra invece quella sulla donna – che inizia a fare i primi passi nel Mondo – e sull’autodeterminazione individuale (tema importante nel cinema di Burton) e sul rapporto con l’uomo, autoritario e dispotico. Se Margaret Keane crea quei bambini tristissimi dagli occhi enormi ed acquosi, è il consorte a renderli “Successo” (cartoline e riproduzioni) con la propria firma. Se per lei c’è una poetica dietro quegli “specchi dell’anima” strabordante – gli occhioni la inseguono, li vede nel volto degli altri e anche nel suo, per lui invece le opere della moglie sono solo merce – l’incipit del film e la sequenza del supermercato; non più solo arte ma anche oggetti commerciali. Margaret accetta le angherie del marito e del mondo Maschio, continuando a sfornare dipinti: nessuna ribellione, solo duro lavoro, forse perché solo tra i colori si sente parte di qualcosa; sulla tela c’è lei, la sua visione del mondo, mentre il gretto e superficiale marito vede solo guadagno. L’ultima fatica burtoniana sembra lontana anni luce da ciò a cui il cineasta ci ha abituato, eppure è profondamente sua (il primo piano della Keane con i suoi occhi disperati). Big Eyes è colorato, ma non per questo privo di ghettizzazione e disperazione, è film di piena luce, ma non per questo privo di ombre. Poco importa se il regista è amico della Keane, poco importa che sia una storia vera, nelle sue mani prende la forma di una favola ironica e incredibilmente drammatica, quella di una principessa, rinchiusa nella torre di un castello, e del suo orco, Walter, istrionico, e violento, che come il lupo fagocita, rubando opere e identità.
Big Eyes [Id., USA 2014] REGIA Tim Burton.
CAST Amy Adams, Christoph Waltz, Krysten Ritter, Jason Schwrtzman, Danny Huston, Terence Stamp.
SCENEGGIATURA Scott Alexander, Larry Karaszewski. FOTOGRAFIA Bruno Delbonnel. MUSICHE Danny Elfman.
Biografico/Drammatico, durata 105 minuti.