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Appunti dalla Berlinale 71

sabato 13 Marzo, 2021 | di Michele Galardini
Appunti dalla Berlinale 71
Festival
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Berlinale 71, cinema anno zero
Berlino, un anno dopo. Fa strano sfogliare le foto dell’edizione 2020: le persone assiepate attorno al red carpet (oggi diremmo assembrate), le conferenze stampa stracolme, le file davanti alle sale. Fa ancora più strano pensare come negli stessi giorni l’Italia fosse protagonista in positivo, con Favolacce dei fratelli D’Innocenzo premiato con l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura, e in negativo con gli scandali nella gestione della pandemia nelle Rsa lombarde, primo passo verso il lockdown nazionale. Un Giano bifronte che oggi, a sale chiuse, mostra un’unica faccia, sapete bene quale. 

Così come la Berlinale 70 verrà ricordata come l’ultimo grande festival europeo in presenza, la Berlinale 71 potrebbe passare alla storia come il primo grande festival europeo del Cinecovid (perdonate il gioco di parole), cioè permeato da un immaginario che, volente o nolente, ha dovuto fare i conti con i limiti imposti da un anno di emergenza sanitaria mondiale.

Il risultato è un cinema visto con occhi diversi, non solo affaticati dopo mesi e mesi di visioni esclusivamente casalinghe, ma anche abituati a un nuovo universo relazionale e spaziale in cui la prossemica diventa distanza, il contatto azione rivoluzionaria, la parola vero motore drammaturgico. I due film premiati ex aequo per la miglior regia della sezione Encounters sono un esempio di approcci distanti eppure riconducibili allo stesso contesto: Social Hygiene di Denis Côté è una commedia semi-farsesca con camera fissa e personaggi inchiodati al terreno che dialogano a distanza, occupando una piccola porzione di uno spazio vastissimo; The Girl and the Spider di Ramon e Silvan Zürcher è invece un Kammerspiel dove il desiderio di contatto diventa puro erotismo e in cui, nonostante un buon numero di personaggi condivida gli spazi di un appartamento, l’unico a rompere senza indugi quel muro sociale sia un ragno, catalizzatore nascosto. 

Non sono mancati i “desktop film”, genere ormai codificato al di là della pandemia (si veda Profile di Timur Bekmambetov, presentato sempre alla Berlinale nel 2018), e nemmeno i film interamente realizzati con le immagini delle telecamere di sorveglianza: A River Runs, Turns, Erases, Replaces di Shengze Zhu, presentato nella sezione Forum, ci porta tra le strade di Wuhan dove la vita riparte nonostante il dolore, condensato in lettere emozionanti, per non aver potuto salutare chi ci ha lasciato in quest’ultimo anno. 

A dire ancora qualcosa in più di questo nuovo immaginario sono i premi del Concorso, a partire da Bad Luck Banging or Loony Porn di Radu Jude, Orso d’oro per il miglior film, che inizia con un filmato hard privato girato da una professoressa e dal suo compagno, per poi trasformare quel contenuto nella scena madre di un pamphlet sociopolitico che vira progressivamente al grottesco; il tutto recitato con la mascherina e con una violenza verbale crescente nei rapporti tra le persone, figlia in buona parte di un anno di cattività. 

Al termine di questo breve excursus, troviamo un film straordinario dove la parola, la scrittura colma la distanza divenendo motore drammaturgico: Wheel of Fortune and Fantasy di Ryusuke Hamaguchi. Tre storie di amori, ognuna divisa in tre mo(vi)menti, dove la parola scava il corpo dei personaggi creando triangoli pericolosi (il primo), rapporti iperuranici (il secondo) e diventando protagonista assoluta, nel terzo, di una distopia dove internet è fuori uso, perché pericoloso, e così non resta che parlare per tornare a essere umani. 

È ancora presto per azzardare bilanci su cosa sarà il cinema post-Covid e su come assorbirà questo trauma lungo un anno, per restituire (forse) un nuovo immaginario, ma è innegabile che la Berlinale, grazie a un lavoro importantissimo di ricerca, abbia saputo intercettare i primi vagiti di un cambiamento.

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