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Tutti i nostri desideri

lunedì 14 Maggio, 2012 | di Giulia Zen
Tutti i nostri desideri
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“E’ ingiusto per una donna che ama la giustizia”
Ci sono opere – nel cinema ma vale anche per la letteratura, l’arte in generale – sulle quali sembra quasi superfluo spendere qualche parola, perché la loro essenza si svela così com’è davanti agli occhi di chi osserva, lasciando dietro di sé un’emozione profonda, viva, palpabile. E niente meglio dell’emozione di uno spettatore rappresenta la buona riuscita di un’opera.

Il francese Tutti i nostri desideri rientra esattamente in questa tipologia. E’ la storia di Claire, una donna magistrato scoperta malata di tumore che prende a cuore la causa di una povera madre contro i noti raggiri degli istituti di credito.
Certo – si potrebbe obiettare – con un plot di questo tipo chiunque è capace di far tirar fuori i fazzolettini. In realtà non è così – e non ne è comunque lo scopo; tutto sta nel come viene raccontata. Philippe Lioret indubbiamente fa una scelta vincente. La regia è un occhio immobile che catalizza e eternizza ciò che vi si dispiega di fronte, in maniera delicata, silenziosa, dignitosa, quasi impercettibile, senza mai scivolare nell’ostentato o forzato, evitando la scorciatoia del classico (e ormai stancante) mélo. L’unico elemento che si concede per esprimere dolore, rabbia, ingiustizia ma anche amore e serenità, è la musica – diegetica e non – accuratissima, degna di un ex fonico qual è Loiret.
I rapporti che intercorrono tra i personaggi sono resi in maniera sottilissima, mai etichettati brutalmente e banalmente, al contrario fatti di piccole sfumature. Quello tra Claire e la giovane Céline non è amicizia, gentilezza o comune bontà, ma vera e propria pietas umana; e con Stéphane, magistrato che l’aiuta nel processo e le sta accanto durante il decorso della malattia, Claire costruisce poco a poco un sentimento che va al dà dell’amicizia, dell’amore, del semplice affetto: è empatia (nel senso letterale di “sentimento dentro”), due anime che si sono toccate nel profondo.
I viaggi che spesso si trovano a fare in macchina rappresentano i viaggi interiori della donna: contro l’ingiustizia e per la giustizia; contro un passato da dimenticare (che le sbatte tutti i giorni in faccia a causa di una madre problematica); contro la malattia, piombata improvvisamente in una vita troppo giovane, verso il raggiungimento di una serenità mentale e spirituale.
Marie Gillain si rivela una protagonista perfetta, grazie ad una recitazione mai pedante o scontata, ma pura, trasparente, davvero toccante.

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