Rabbia
La rabbia, sentimento che già nelle prime tre puntate di Esterno notte erompeva dalla scrittura e dalla recitazione, arriva al suo climax nelle puntate 4, 5 e 6 che amplificano ancora di più il racconto corale della vicenda del rapimento Moro.
La regia, mantentendo un ritmo e una tensione perfetta, sottolinea il coinvolgimento di tutti: il popolo, la politica, la famiglia, le istituzioni, e fa vedere i fatti da più punti di vista. Come nella prima parte, ritroviamo sequenze oniriche e allegoriche, e una messinscena che dimostra ancora l’agilità con cui Bellocchio si muove anche nella serialità.
Se, come già scritto in queste pagine, la prima parte faceva i conti con personaggi che comprendevano di avere delle colpe ben definite in quei tragici giorni, qui si arriva a fare i conti con la Storia e le conseguenze delle azioni di tutti i coinvolti. Nella quarta puntata lo sguardo di Bellocchio si posa sulla brigatista Adriana Faranda, nella quinta su Eleonora Moro (la moglie di Aldo), per poi ritornare su Aldo Moro e i suoi ultimi giorni. Il focus è su ciò che accade a “chi resta”, chi subisce l’evolversi dei fatti senza poter agire se non con rassegnazione. La Faranda non partecipò al sequestro né come esecutrice né durante la prigionia, ma restò nascosta uscendo solo per “consegnare” i comunicati delle Brigate Rosse e le lettere che Moro scriveva in prigionia. Eleonora attendeva un’azione decisa da parte delle Istituzioni e degli “amici” del marito, cercando di portare avanti una finta routine famigliare, frenando le pulsioni irascibili dei figli contro un Paese inerme. Il cerchio si chiude nell’ultima puntata dove ormai le speranze sono finite e la condanna a morte dell’uomo politico è decisa. Ed è qui che la rabbia prende il sopravvento: quella di noi spettatori, quella di Bellocchio, quella dei suoi personaggi. Perfettamente caratterizzati, su tutti si staglia la figura della moglie dello statista, una Margherita Buy mai così misurata e credibile nell’interpretare una donna forte, orgogliosa e fragile allo stesso tempo; attraverso lei si mette, senza mezzi termini, alla gogna la Democrazia Cristiana, un partito ipocrita e figlio di un potere tentacolare che da lì a poco avrebbe perso un po’ di consenso.
Potente in questo senso la sequenza in cui Moro stesso – un Gifuni ancora più mimetico con uno sguardo perso e disperato che mette i brividi – accusa l’incompetenza dei suoi compagni di partito al prete che, nel covo, lo confessa. Un Moro furioso – chissà cosa ne penserebbe Andreotti – che esprime il pensiero di qualunque spettatore onesto che vede Esterno notte. Opere come queste servono a non dimenticare e in tal senso è funzionale l’utilizzo dei materiali d’archivio che Bellocchio incastra perfettamente con la fiction.