Indagare senza emozioni
Dagli occhi della dottoressa Jenny Davin raramente trapelano emozioni, fa parte della sua etica lavorativa: se un medico provasse empatia per un paziente la sua diagnosi non sarebbe oggettiva. È per questo motivo che, cercando di trasmettere questo principio al suo stagista Julien, quando una donna suona al campanello un’ora dopo la chiusura dell’ambulatorio Jenny non apre, mostrandosi rigida, forse eccessivamente, ma convinta della sua posizione.
Quella sera stessa viene accolta tra molti elogi in un equipe medica in cui sta per entrare, dando una svolta alla sua carriera che si preannuncia piena di successi. Ma proprio quando sta per mettere piede su un gradino più alto della sua vita, ecco che il mattino seguente la polizia le chiede di avere le immagini della sua telecamera di sicurezza. Una donna è stata trovata morta vicino il suo studio, proprio quella donna che aveva suonato al citofono una volta sola, non per poca urgenza come aveva supposto Jenny, ma per troppa, essendo inseguita. Il volto spaventato della donna, registrato dalla telecamera viene mostrato ovunque, ma nessuno sembra riconoscerla e nessuno denuncia l’accaduto o ne reclama la scomparsa. L’apparente insolvibilità del mistero sconvolge Jenny, che ne fa una questione personale: se avesse aperto la donna sarebbe ancora viva. Come una voce nel deserto prova con caparbia a darle un nome ed una degna sepoltura, tentandovi apparentemente anche più di quanto non lo stia facendo la polizia. Jenny andrà tanto a fondo da scoperchiare una lunga serie di intrecci, di silenzi forzati, vergogne private, disagi indicibili e invisibili sofferenze. Col venire alla luce di questa trama i fratelli Dardenne svelano un Belgio periferico, disperato e quotidianamente nevrotico, con una capacità d’indagine asciutta, anti-empatica come la protagonista, dove la mancanza di un commento sonoro porta tutta l’attenzione ai suoni improvvisi, frammentati e inquieti della realtà, orchestrati ad arte nel montaggio. È un’indagine quindi non direttamente coinvolgente, La ragazza senza nome non è un thriller, ma una sua contaminazione, chiede allo spettatore di coinvolgersi esso stesso, di “auscultare” con attenzione e coscienza – gesto più volte ripetuto da Jenny – le discrepanze sociali che lentamente mostrano tutta la sua aridità. Ci interroga sulla nostra posizione, sul nostro ruolo in una società di senza nome, di sconosciuti con i quali interagiamo più di quanto crediamo possibile, è un film bressoniano nella forma e, pur non avendone la potenza, nella sostanza. Resterà un ritratto minore nella galleria femminile dei Dardenne, ma merita di essere rivisto e assimilato.
La ragazza senza nome [La fille inconnue, Belgio 2016] REGIA Jean-Pierre e Luc Dardenne.
CAST Adèle Haenel, Olivier Bonnaud, Jérémie Renier, Louka Minnella.
SCENEGGIATURA Jean-Pierre e Luc Dardenne. FOTOGRAFIA Alain Marcoen.
Drammatico, durata 113 minuti.