Tutti pazzi per Joey King
Lo attendevano le giovanissime come “il film con Selena Gomez”.
Complice, senza dubbio, la promozione strategica volta a sfruttarne la popolarità presso il pubblico di Disney Channel.
A Selena, tuttavia, il family movie di Elizabeth Allen riserva un ruolo da comprimaria: l’incantevole peste, interpretata da Joey King, ne è l’indiscussa protagonista e Ramona forever – più che Beezus and Ramona – è il romanzo di Beverly Cleary a cui il plot maggiormente si ispira.
Impenitente combina-guai con la passione per i neologismi, Ramona lamenta una “terrifichevole” condizione di figlia mediana, fino a quando il licenziamento del padre (John Corbett) e la possibile perdita della casa la costringono a far fronte ad ingiustizie peggiori.
Nonostante la consistenza delle problematiche, l’adozione del punto di vista di Ramona permette alla Allen di edulcorare anche le scene più drammatiche con tinte pastello e sogni in CGI, oltre ad un uso comico del ralenti teso a sdrammatizzarne le percezioni.
Alle minacce esterne si contrappone, peraltro, il fronte unito di una famiglia perfetta e la promessa rassicurante che “certe cose non cambieranno mai”. L’effetto di coesione e continuità è costruito su due livelli: quello dell’inquadratura, attraverso il frequente ricorso al totale e alla profondità di campo che abbracciano tutti i familiari (il contro-campo è raro e mai casuale) e quello narrativo che dell’origine seriale conserva il gusto per l’eterno ritorno. La formula variante/ripetizione caratterizza gran parte delle situazioni – l’uovo rotto cotto e crudo, le gag identiche della minestra e della limonata, tutte le fasi “innaffiate” del rapporto tra gli zii, lo scambio corrisposto del porta-foto, solo per citarne alcune. Allo stesso modo le assonanze onomastiche delle coppie intermedie (Beezus/Bea, Henry/Hobart) rafforzano il legame tra le diverse età della vita, a conferma di un sottostante ordine naturale in cui ogni crisi si rivela occasione di miglioramento.
In un quadro di inevitabile ottimismo emerge la critica a una società normalizzatrice che nell’estro e nell’inventiva vede solo anomalie e considera l’energia infantile come una forma di insubordinazione. La difesa accorata della creatività contro la retorica del successo, assieme alla verve della piccola Joey, rendono il film tutto sommato gradevole, purché si sia in vena di tenerezze. O almeno fan di Selena Gomez.