La roccia e il corpo
Monte potrebbe essere uno tra i migliori film dell’anno, se non fosse che pochi l’hanno visto e ancora meno ne hanno parlato, se non fosse per la solita pregiudiziale e scarsa distribuzione per cui già tra quindici giorni sarà un film “passato”, se non fosse per la critica livellata, mansueta, annoiata, disillusa, abituata, modaiola, monocorde, monolinguistica, festaiola, accondiscendente e populista, che nell’abito vede solo il monaco e dell’edonismo satireggiante e sussiegoso fa il suo unico principio critico.
Eppure dalla critica, e proprio da quella nostrana, viene l’unico sussulto: assegnandogli il titolo di Film della critica, l’SNCCI certifica, come un referto medico, un corpo spettatoriale e culturale in cui ancora scorre sangue vitale e intelligente elettricità. Ma sono flebili dissonanze in un saramaghiano panorama di cecità. Il fatto narrato è semplice: nel Nord Italia del Trecento un gruppo di famiglie vive all’ombra di una parete montuosa che privandoli del sole ruba loro energie, raccolti e speranze. Molti muoiono per fame o malattia, molti vanno via prima che sia troppo tardi, resta solo Agostino, con sua moglie e suo figlio, che non vuole abbandonare la collina dove sono sepolti in molti tra parenti e conoscenti. La prima scena del film vede proprio Agostino seppellire sua figlia sotto un cerchio di sguardi sfiniti, con gesti troppo spesso ripetuti e perciò nervosi, aggressivi; le pietre poste sopra il corpo per protezione o arcaico ornamento hanno il peso del ricordo e del dolore, lo stesso peso oppressivo con cui la parete rocciosa dietro il villaggio sfibra chi ancora vive. Basta incredibilmente poco a Naderi per tracciare i contorni del suo stile, nelle prime sequenze non c’è dialogo ma solo gesti, movimenti, sguardi, non perché le parole manchino ma perché questi le rendono superflue. In questo linguaggio muto sembra di vedere i capolavori di Sjöström o le prime opere di Dreyer, dove l’immagine traboccava di mistica connessione tra significato e rappresentazione. Ma, ed è qui lo specifico merito di Naderi, alla potenza dell’immagine si unisce il suono, denso e iperrealistico, poetico nel suo enunciare stati d’animo e presenze. Il procedere degli eventi vede Agostino indurirsi nel proposito di vivere nonostante e contro il monte, in un lento processo di identificazione con la roccia stessa che spoglia la famiglia di ogni umanità e razionalità temporale, mentre le immagini si desaturano fino a far apparire i personaggi come spettri o scheletri di pura volontà. Nell’incessante colpire del martello sulla parete il suono diventa un mantra contrappuntistico tra basse e alte frequenze, estenuante nella sua apparente insensatezza. Allo spettatore è richiesto un atto di fede, che il progressivo apparire del sole ripagherà. Al critico è affidato il compito di saper riconoscere il Cinema, dove esso sia, anche sotto gli abiti più poveri.
Monte [id., Italia/Francia 2016] REGIA Amir Naderi.
CAST Andrea Sartoretti, Anna Bonaiuto, Claudia Potenza, Zaccaria Zanghellini.
SCENEGGIATURA Amir Naderi. FOTOGRAFIA Roberto Cimatti. MUSICHE Amir Naderi.
Drammatico, durata 105 minuti.